Gli anni 1796 e 1797 furono difficili per tutto il Piemonte a causa della guerra perduta, della crisi del governo e della grave carestia che affliggeva le campagne piemontesi. Già nel 1795 e 1796 i prezzi erano molto saliti, ma il 1797 fu un anno di vera carestia.
Fu calcolato che mancassero 500.000 sacchi di cercali al raccolto necessario per il sostentamento della popolazione. Continuava ad infierire l’epizoozia e poche famiglie mangiavano ancora carne bovina.
Anche a Susa ci si preoccupò per le provviste di granaglie che scarseggiavano.
31 luglio 1797: “Ricorso a S.M. per rifornimenti di granaglie essendo quelle esistenti insufficienti per l’annata”
Si mandano i negozianti del posto a cercare di rifornirsi in modo sufficiente per la città e i dintorni. Ma, mentre in quasi rutto il Piemonte nel luglio del 1797, proprio a causa della carestia i contadini insorsero in molti paesi, la valle di Susa rimase tranquilla, forse a causa di un maggior attaccamento ai sovrani o per il gran numero di soldati che continuavano a presidiarla.
Infatti dall’ordinato del14 dicembre 1796 si evince che dal giugno dello stesso anno in poi i francesi passarono continuamente attraverso la città e occuparono il forte della Brunetta.
A Giaveno si registrò una sommossa,4 mentre nella bassa valle tra Avigliana e Rivoli, si registrarono atti di brigantaggio. Si fecero notare i “Barbetti”, giunti dalle montagne del cuneese. Un loro capo, Comtés, tentò di trafugare i dispacci che giornalmente erano inviati attraverso il Moncenisio a Parigi dai diplomatici presenti a Campoformio.
L’incarico gli è giunto da certi realisti ansiosi di sapere quanto si stava trattando. L’assalto postale avviene a Rivoli, ma si rivela inutile: le carte di cui Comtés ed i barbetti si impossessarono, giunge vano da Torino e non avevano alcuna importanza.’
Il termine di “barbetti” indicava tutti coloro che si opponevano al regime repubblicano. L’André, che a questi briganti ha dedicato un capitolo intero della sua storia di Nizza dal 1792 al 1814, dice che il barbottismo costituiva la parte leggendaria della storia sanguinosa dell’epoca rivoluzionaria e riporta che alcuni li consideravano dei semplici assassini e altri difensori e partigiani di una giusta causa. Il Ruggiero tratta ampiamente questo tema nella sua tesi di laurea:“Moti contadini e briganti in Piemonte durante l’occupazione”
Egli sostiene che i barbetti, ora briganti, ora partigiani, sentivano sempre vivissimo il concetto di libertà individuale, combattevano duramente in difesa delle loro valli trattando i francesi con molto disprezzo.
Nel 1796, dopo il trattato di Cherasco, molti reggimenti provinciali furono messi in congedo (tra questi era il reggimento di Nizza); non pochi soldati, passate ormai le loro terre alla Francia, presero la strada della montagna ed iniziarono una lotta di banditismo e di guerriglia che tenne impegnati per più anni i francesi. Presto in quelle bande confluirono altri sbandati: oppositori corsi, fuoriusciti genovesi, avventurieri e, naturalmente, molti piemontesi delle terre invase.
I continui attacchi dei barbetti contro i francesi facevano sì che costoro infierissero sulle popolazioni delle montagne.
I barbetti erano divisi in diverse bande. Una di queste aveva come capo, nel 1796, un uomo di Drap, di nome Contin, che doveva avere ai suoi ordini circa 1000 uomini e che compì molte imprese sanguinarie. Le bande spesso scendevano anche nella pianura piemontese, come ad esempio nel territorio di Alba.
Nel 1798 le loro azioni si intensificarono tanto che i francesi per mettere freno alla loro guerriglia crearono un corpo speciale di polizia, detto degli Eclaireurs, che agiva quasi esclusivamente nel contado di Nizza. Dalla parte italiana delle Alpi la sicurezza delle strade era affidata alle normali forze di gendarmeria e, dopo il 1800, a corpi speciali dell’Armata. Verso la fine del 1798 i barbetti, se non del tutto sconfitti, potevano dirsi duramente colpiti.
Nel 1796 la vita, dal punto di vista amministrativo, nella città scorreva come al solito, infatti gli ordinati relativi a quest’anno concernono le solite nomine e giuramenti dei consiglieri, numerose di soldati, di due predicatori quaresimali, di maestri, levatrice, uscieri; la manutenzione delle strade la costruzione di marciapiedi e, per ordine di S.E. il conte Graneri, provvedimenti economici riguardanti i macelli e i giudici da nominarsi in occasione delle fiere per sciogliere le controversie.
Accanto a questi c’è l’ordinato dell’8 novembre che riguarda la nomina di una deputazione per il baciamano a Sua Maestà Carlo Emanuele IV, succeduto al padre Vittorio Amedeo III, morto il ottobre 1796, dal quale si può anche osservare la composizione del Consiglio Comunale:
Nella città di Susa, nel palazzo della medesima, solita sala comunale, davanti all’Illustrissimo signor avvocato Filippo Ferrero, giudice prefetto di questa città e provincia, al signor sindaco Francesco Bianco e all’ordinario consiglio di questa città nel quale sono intervenuti li signori: notaio causidico Giuseppe Garelli, notaio collegiato Chiafredo Mayneri, Gioanni Battista Ronchiay, Maurizio Amprimo, Claudio Blanchione, mancando due consiglieri. Legittimamente congregati, in seguito al solito suono della campana, li verbali avvisi essendo raccolti dall’usciere Giuseppe Rossetto: il signor sindaco essendogli pervenuta una lettera di S.E. il signor Conte, commendatore Graneri, Cavaliere della Gran Croce, ministro e primo segretario per gli affari interni, del 5 corrente mese diretto a questa illustrissima città, con cui, notificando di avere Sua Maestà stabilito il giorno 19 del corrente mese, per ricevere la testimonianza del comune cordoglio per la morte del Re Vittorio Amedeo, suo padre, ne abbia per ciò recato l’avviso perché si addivenghi alla nomina di due persone, le quali, a nome di questa città, si trovino in quella di Torino nel giorno suindicato, per adempiere ad un doveroso atto.
Sono nominati il Sindaco Francesco Bianco e il notaio causidico Giuseppe Garelli.
Questo dimostra come anche la Corte non si rendesse conto che la monarchia stava per giungere al suo declino e continuasse a vivere nel solito clima di fasto e di regole ormai assurde, mentre il popolo piemontese era molto provato dalla carestia e dalla guerra conclusasi con un armistizio così avvilente.
Nel 1797, a causa del transito per la valle di numerosi prigionieri austriaci spesso ammalati, nacque il timore di possibili epidemie.
Nell’ordinato del 24 marzo 1797 una deputazione di consiglieri fa ricorso a Sua Maestà: “per implorare provvidenze onde non si soffermino più li malati austriaci in questa città, per evitare il morbo, che tenta di svilupparsi”
Vennero prese precauzioni di tipo igienico come il trasportare le immondizie e i letamai fuori dalla città; bruciare nelle piazze punte di pino, ginepro, malagine; far pulire i vicoli vicini alla chiesa di S. Francesco. Le malattie imperversavano nell’ospedale del forte della Brunetta e si diffusero anche fra la popolazione.
Giovanni Francesco Re, appena laureato e medico condotto a Susa, si prodigò nell’arginare le malattie che fecero vittime fra la popolazione.
Con l’ordinato del 4 agosto 1797 la giunta comunale decise di intervenire contro i facinorosi in ottemperanza al Regio Editto del 26 luglio 1796 “portante varie provvidenze contro gli atteggia menti dei facinorosi e perturbatori della pubblica quiete” constatando però che nella città ve ne erano pochi.11 L’ordinato del 22 settembre 1797 concerne gli emigrati e i deportati e la loro evacuazione. Il Governo infatti stabilì che non si doveva permettere agli emigrati e deportati della Repubblica francese di dimorare nei Regi Stati, anzi bisognava impedire ai medesimi di entrarvi anche solo per transito. Il sindaco di Susa, avvocato Chiafredo Mayneri, sapendo che “molti di tali soggetti sono presenti nella città” ordinò che ne fossero allontanati, tenendo anche conto della minaccia di carestia dovuta alla mancanza di generi di prima, necessità.
Anche per l’anno successivo, il 1798, Susa dovette affrontare problemi analoghi anche se rimase immune dai tentativi insurrezionali che continuavano a tormentare il resto del Piemonte.
Il 13 febbraio 1798 fu letta nella sala consigliare la seguente circolare che mostra i provvedimenti presi dal Re per arginare la situazione:
Dopo la pubblicazione del Regio Editto delli 4 corrente, sonsi da più parti riconfermate le sicure notizie già avutesi, che una quantità di sediziosi ritornati nei Regi Stati, in vigore dell’amnistia loro accordata, continuano a tenere congreghe ed adunanze segrete, e cercano di reclutare gente per il loro partito, procurando inoltre di sedurre ed irritare il popolo per far seguire qualche disordine e vantandosi di volere, con questo mezzo già in altri Paesi praticato, compromettere il Governo per vedere di riuscire così nel loro perverso disegno, già tante volte inutilmente tentato e ad altro non diretto che a sconvolgere il governo ed a distruggere la religione per invadere a man franca le proprietà, e commettere altri mille nefandi disordini. Sua Maestà, cui sommamente preme la salvezza dei suoi sudditi, sollecita di prevenire, per quanto è possibile, li delitti, per non essere costretta a punire li delinquenti. Ordina che tutti li signori Governatori, Comandanti, Prefetti e Giusdicenti debbano con tutta la vigilanza ed esattezza, e sotto la propria responsabilità, vegliare e far vegliare all’eseguimento delle provvidenze contenute nel Regio Editto delli 4 corrente, volendo che da Prefetti e Giusdicenti si debba fare lettura del medesimo Editto e di questa circolare nei rispettivi consigli di città e comunità, con diffidare gli amministratori, che si renderanno anch’essi contabili in proprio di qualunque sconcerto che possa succedere, ogni qualvolta consapevoli di radunanze complotti, corrispondenze e macchinazioni de’ mali intervenuti, agiranno di con certo con essi prefetti e giudici per opporsi con ogni mezzo agli iniqui loro disegni e ad ogni loro attentato. La M.S. invita inoltre tutti li Vescovi ed altri Ordinari e in specie li parroci ad illuminare i popoli sovra li loro veri interessi, con insinuare loro obbedienza alle leggi, amore pel buon ordine e per la tranquillità pubblica; esortandoli di stare in guardia contro le perverse trame che si vanno macchinando da’ male intenzionati a danno de’ buoni e dello Stato.
Carutti d’ordine di S.M.
Questo l’invito che il governo faceva per evitare il diffondersi delle idee giacobine e delle insurrezioni.
Nell’archivio di Susa non si trovano tracce di giacobini riconosciuti e segnalati prima del 1799, quando dagli austro-russi fu ristabilito il governo di Sua Maestà.
Come scrive G. Vaccarino. in fondo “i promotori delle agitazioni non furono che uno sparuto gruppetto di avventurieri, spostati”.
“Nella società piemontese il repubblicanesimo giacobino si presentò per lo più come un fatto di cultura, come uno slancio giovanile di anticonformismo con tutte le parvenze peccaminose e scandalitiche della crisi di coscienza di una società in sviluppo, agli occhi di chi non se ne sentiva contagiato. Egli osserva inoltre che ci troviamo in presenza di un clero repubblicano, cosa che non i verifica in modo rilevante a Susa, infatti durante la prima dominazione francese saranno proibite le riunioni canonici perché sospettati di tramare contro il governo.
Si può però osservare che le più spiccate simpatie repubblicane si trovavano fra gli abitanti dell’alta valle. Questo si può spiegare considerando che l’alta Val di Susa, per molti anni era stata unita alla Francia facendo parte dei dipartimento delle Hautes Alpes e perciò i suoi abitanti avevano visto di malocchio la dipendenza da Susa, verso cui tenevano un atteggiamento di superiorità; speravano, con il ritorno dei francesi, di tornare ad essere riuniti a questo dipartimento.
Le loro speranze furono deluse perché anche Napoleone li comprese nell”‘arrondissement” di Susa, rinnovando questa dipendenza.
La città di Susa doveva sostenere continui oneri a causa delle truppe francesi che vi transitavano e che vi si fermavano, come mostra quest’ordinato dell’l1 settembre 1798. Si discute circa l’alloggio:
Spettante agli ufficiali applicati al comando delle Truppe francesi stazionanti nella città e agli agenti della stessa repubblica. Oltre a questi si deve fornire alloggio anche a 13 ufficiali e ad un capo squadrone del 5° reggimento di cavalleria che deve giungere nella città per essere qui destinato di guarnigione.
Il Commissario di guerra Cortemiglia rese noto all’amministrazione che “gli alloggi saranno bonificati dall’Ufficio generale Del Soldo alla fine di ogni mese “sul piede” fissato per gli ufficiali di S.M.”. La città, nell’impossibilità di fornire gli alloggiamenti richiesti, a meno di far sloggiare dalle loro abitazioni i legittimi proprietari, chiese che fossero ridotte il numero delle camere e dei mobili da fornire anche a causa delle ristrettezze della popolazione.