I) CONDIZIONI DI VITA NELLA VALLE
Susa, che nel XVIII secolo, era capoluogo della provincia e residenza del governatore, del comandante militare, del prefetto e dell’intendente (cioè degli amministratori della provincia), oltre ad essere sede del governo era anche un importante nodo commerciale per la sua posizione naturale di confluenza di due importanti vie di comunicazione e contava, nonostante l’esiguità della popolazione, di due ospedali ed ogni anno vi si teneva una fiera della durata di tre giorni che permetteva vari scambi.
La città era anche un importante caposaldo militare con la fortezza della Brunetta che ospitava circa 2.500 soldati. Anche questo era un motivo di ricchezza per la città poichè i suoi abitanti, a differenza degli altri valligiani, avevano modo di dedicarsi ad altre attività, oltre che all’agricoltura, relative anche alla presenza delle guarnigioni. Dovevano fornire servizi vari di manutenzione della fortezza e avevano modo di svolgere lavori artigianali (c’erano sarti, calzolai, fabbri, falegnami ecc.). Ciò permise lo svilupparsi, accanto alla classe contadina, della borghesia, se così la si può chiamare, costituita da commercianti, medici, avvocati, notai che prestavano la loro opera in questo centro importante.
La situazione era favorevole anche ai contadini che avevano modo di vendere i loro prodotti per rifornire le mense militari. La nobiltà non era presente in modo significativo; infatti un terzo della giurisdizione del feudo andava all’abbazia di S. Giusto e due terzi al re.
Nella valle troviamo il conte di Bruzolo, che già all’inizio del ‘700 aveva rinunciato ai propri diritti, come anche Giovanni Luigi Des Ambrois, signore di Rochemolles, antenato di Luigi Des Ambrois de Nevache (1807‑1874).
Quest’ultimo era nato ad Oulx e apparteneva ad una famiglia proveniente dal Delfinato di sentimenti profondamente monarchici e che poteva vantare un antichissimo lignaggio. A lui spettò il merito di aver reintrodotto, non senza contrasti, il sistema metrico decimale nel regno di Sardegna. “La massima cura rivolse ai lavori pubblici quando gli fu affidato nel 1844 il ministero degli Interni che allora comprendeva l’istruzione e i lavori pubblici, il commercio e l’agricoltura”.
Fu uno dei più attivi sostenitori del traforo del Frejus. In quegli anni visse anche Giuseppe Francesco barone di Berenfels (1765‑1826). Sulla famiglia Berenfels possiamo attingere qualche notizia dal libro del Chiapusso e sulla “Gazzetta di Susa” in un breve articolo dell’avvocato Vincenzo Armando.
Egli abbracciò la carriera militare, raggiungendo il grado di capitano, ma quando il Piemonte fu sconvolto dall’invasione francese, fu mandato in congedo ed egli si ritirò a vivere a Susa, dove rimase fino a quando, dopo la caduta di Napoleone e il riassestamento dell’Italia del 1815, fu richiamato in servizio nell’esercito del re di Sardegna.4
Di sentimenti profondamente religiosi fece anche in vita, molte donazioni a chiese e confraternite ed il suo nome si legge nell’elenco dei benefattori della Chiesa del Ponte
La città di Susa diede i natali anche a Carlo Andrea Rana (1715‑1804) di antica famiglia segusina (presente a Susa fin dal ‘500). Figlio di architetto ed appassionato di studi scientifici divenne anch’egli architetto.
Fu al servizio di Carlo Emanuele III e di Vittorio Amedeo III quale ingegnere topografo, insegnante di matematica, membro del Consiglio di Architettura e del Consiglio degli Edili e regio architetto civile e militare.
Egli lasciò molte vestigia nel Piemonte, nominatamente la vaga e magnifica Chiesa di Strambino e in Susa la chiesa della Madonna delle Grazie di originale ispirazione barocca.
Morì nella casa campestre della famiglia detta “cascina Roma”, (Parrocchia di S. E vasio) il 10 dicembre1804 e fu sepolto nell’attuale cimitero di Nostra Signora delle Grazie.
Fino al 1799, infaticabile, operò nel congresso di architettura; quando il Piemonte fu annesso alla Francia egli, fedele a casa Savoia, ritornò a Susa, dove “morì a 90 anni fra gli stenti, poichè privato della pensione accordatagli dal suo re”.
Anche di Susa fu Cesare Oliveri (1750‑1812):
Questo nostro concittadino, di cui pochi forse hanno sentito parlare, ha il merito di aver contribuito, con la sua attività letteraria, a rialzare le sorti del teatro italiano del ‘700. Sinceramente affezionato a casa Savoia, non prese parte alle manifestazioni che si fecero a Torino per celebrare la repubblica e Napoleone, ma si unì alle feste popolari intorno agli alberi della libertà. Ma con la perdita dell’impiego (era segretario all’università di Torino), si ridusse a vivere assai poveramente negli ultimi anni della sua vita durante i quali la sua vena poetica si esaurì. Infatti tutte le sue pubblicazioni sono precedenti al 1799.
La caduta ingloriosa della monarchia coll’invasione straniera, recava al Piemonte grandi novità. Mentre nei teatri si mettevano in canzonatura le Maestà decedute, v’era chi ne spogliava i palazzi. La retorica più roboante spadroneggiava nei giornali, società letterarie pubblicavano volumi in lode del nuovo regime. Certo l’Oliveri osservava quella gazzarra con l’occhio benevolmente compassionevole dell’uomo superiore.
Suoi componimenti drammatici sono: Cleopatra, Sicotencal, Trionfo della pace, La morte di Polissena, in cui rievoca l’infelice sorte della figlia di Priamo, tema già trattato da Sofocle e Euripide. Ino e Temisto, tragedia di Euripide la cui scena si svolge a Tebe, nella reggia di Atamante.
Un altro scrittore segusino fu Giuseppe Ponsero (1784 ‑ 1858):
Dotato di mente aperta si dedicò con passione a svariati studi, si laureò in medicina e filosofia ed esercitò entrambe le professioni; trovò anche modo di dedicarsi alla letteratura, all’archeologia e alla statistica.
Originario di Chiomonte era Giorgio Andrea Agnes des Geneys (1761‑1830). Il primogenito di Giovanni, conte Giovanni Tommaso, capitano del reggimento di Susa, morì combattendo al Piccolo S. Bernardo (1794) e il secondogenito, Giorgio Andrea, futuro ammiraglio, si arruolò nella marina.
Nel giugno del 1794 in uno scontro presso le isole Hyères, fu catturato con tutto l’equipaggio e la sua bella fregata “Alceste”. L a prigionia durò due anni e non fu priva di sofferenze e di amarezze. Durante il dominio di Napoleone gli fu affidata la difesa della Sardegna. Morì a Genova nel 1839.
Di Oulx era Michele Antonio Bes (1794‑1855) che studiò negli anni del dominio francese. Fu impiegato alla direzione dei ponti e delle strade sotto un abile ingegnere; ma circostanze imprevedibili lo tolsero al suo impiego e lo chiamarono al servizio della Francia, sebbene suo padre avesse già pagato la somma stabilita per la surrogazione militare. Nel 1813 entrò nella guardia d’onore a cavallo dell’imperatore. Prese parte alle battaglie di Dresda, Lipsia e Wagram in cui fu fatto prigioniero. Caduto Napoleone, nel 1814 entrò a far parte del reggimento di Susa. Divenuto in seguito generale, ebbe modo di distinguersi nella I guerra d’indipendenza e la sua “intrepidezza e sagacia” rifulsero nell’assedio di Peschiera. Nella seconda parte della guerra le sue truppe di soli 3.000 uomini vinsero alla Sforzesca 7.000 austriaci e un reggimento di cavalleria.
Ad Avigliana nacque il 3 marzo 1803 Norberto Rosa, di umilissima famiglia che divenne poi poeta, scrittore e uomo politico. Come abbiamo potuto osservare, la maggior parte di questi uomini “illustri” non nutriva simpatia per il regime francese, anzi spesso si ritirò dalla vita pubblica proprio per la fedeltà che portava a casa Savoia. L ’unico che servì l’esercito francese, al seguito di Napoleone, fu Michele Antonio Bes che però, come abbiamo visto, aveva cercato di evitarlo.
Fra gli uomini illustri di quel tempo che collaborarono coi francesi, va ricordato Giovanni Francesco Re (1773‑1833), condovese di Mocchie che è ricordato specialmente come botanico per la sua “Flora Segusiensis sive stirpum in circuito segusiensi nec non in Moncenisio” edita a Torino nel 1805. Oltre che di botanica, il Re si interessò di matematica (tenne cattedre nelle scuole di Susa) e di filosofia (cattedra nel collegio di Carignano), veterinaria e medicina. Il medico‑naturalista Re fu il promotore e l’organizzatore della vaccinazione antivaiolosa in valle di Susa, dedicandosi con grande entusiasmo ad una campagna di persuasione verso i diffidenti valligiani, per convincerli a sottoporsi a tale pratica e prodigandosi con mezzi pionieristici alla raccolta del siero antivaioloso.
Era ancora un giovane medico a Susa, quando dalla Congregazione di Carità, gli venne offerta la direzione dell’ospedale dei Pellegrini incarico che, per i molti impegni che già aveva e per gli studi ai quali attendeva, declinò. Pochi mesi dopo (dicembre 1798) avvenne l’occupazione francese; egli condivideva molte delle idee illuministiche degli occupanti, giacché lo troviamo segnalato nella lista compilata dalla polizia del regno di Sardegna dopo che i francesi abbandonarono, momentaneamente, la valle.
Lo Jaquet chiamò il Re a far parte del Consiglio superiore di Sanità dell’arrondissement di Susa. Assunse la carica con entusiasmo e la esercitò con impegno e fermezza.
Il suo grande merito è l’impegno con cui si dedicò ad organizzare il servizio di vaccinazione antivaiolosa. Con una lettera‑circolare egli si rivolse ai sindaci per fare opera di convincimento affinché fosse divulgata la fiducia in questa provvidenziale pratica e per chiedere la collaborazione di tutti, onde avere quel vaccino che allora si poteva ottenere solo raccogliendo il pus che si trova nelle pustole che compaiono sulle mammelle delle mucche colpite dei vaiolo.
Lo Jaquet osserva che erano pochi gli uomini che manifestavano un’aperta adesione al nuovo governo repubblicano, mentre la maggior parte della popolazione:
Plongée dans une apathie profonde, suite necessaire de l’extrême misère, sous laquelle elle gémit depuis si long‑temps, ne calcule la bonté du Gouvernement.
La popolazione, affondata in un’apatia profonda, causata dall’estrema miseria in cui versa da molto tempo, non prende in considerazione la bontà del Governo.
Egli nota poi che gli abitanti dell’alta valle desideravano la riunione alla Francia non solamente perché i loro costumi e abitudini erano più affini ai modi dei vicini francesi, ma anche perché speravano di ottenere la giustizia da tanto tempo richiesta essendo sempre stati trattati, dice lo Jaquet, peggio degli abitanti della bassa valle. Quest’affermazione non è del tutto esatta infatti, come si è già visto in precedenza, il desiderio della popolazione dell’alta valle era di ritornare a far parte del dipartimento delle Hautes Alpes (infatti le 3 valli del Delfinato erano entrate e far parte del regno sardo solamente nel 1713 con il trattato di Uthrect) non per desiderio di un governo migliore, ma perché non sopportavano di essere considerati con superiorità dagli abitanti della bassa valle.
Spesso in queste zone i maires erano analfabeti e sapevano appena scrivere il loro nome, perciò dovevano affidarsi all’aiuto del segretario comunale per svolgere le loro mansioni. Le disposizioni giungevano con molto ritardo, o non giungevano affatto, a molti cittadini che abitavano cascine o borgate molto distanti dal nucleo principale del paese e perciò difficili da raggiungere.
Lo Jaquet osserva che durante la dominazione sabauda questo problema non sussisteva infatti, in ogni casolare di una certa importanza, c’era un membro dell’amministrazione comunale. Il nuovo governo aveva affidato maggiori responsabilità al maire che risiedeva nel centro più importante e che non conoscendo la situazione delle borgate più lontane era in difficoltà nel prendere le decisioni che le riguardavano e che spesso non incontravano l’approvazione. Questo problema era specialmente sentito dagli abitanti delle frazioni dei comuni dell’Alta valle, abituati da secoli ad essere amministrati da un proprio sindaco (consul des hameaux) che affiancava il premier consul che era sempre nel capoluogo e in cui non avevano soverchia fiducia.
La situazione instauratasi con il dominio francese non portò dei miglioramenti ai segusini, anzi quelli furono anni di privazioni e di stenti. Le cariche pubbliche erano affidate a sostenitori del nuovo regime, compresi per la maggior parte nella borghesia. Molti artigiani che svolgevano la loro attività in funzione della guarnigione si trovarono senza lavoro anche se in parte furono utilizzati come operai per la costruzione della grande strada del Moncenisio di importanza notevole per la vita economica della valle, ma che inizierà a dare i suoi primi frutti solamente negli ultimi anni della dominazione francese.
Un quadro vivace della situazione esistente lo dà il Millin, diplomatico e cavaliere della legione d’onore, che compì un viaggio nella nostra valle passando dal valico del Moncenisio, nel 1811. Giunto al Molaretto incontrò molti uomini e ragazzi “deguenillés qui demandent l’aumone et annoncent assez que l’on entre en Italie”. Uomini e ragazzi “cenciosi che chiedono l’elemosina e annunciano inoltre che si entra in Italia”.
Sembra un rimprovero rivolto all’Italia, scritto senza considerare che ormai da più di un decennio vi governavano i francesi, responsabili perciò di questa situazione. È una pagina nello stesso tempo rivelatrice; il benessere economico apparteneva soltanto alla borghesia e il popolo versava in pessime condizioni. Susa non piacque al Millin: le uniche case di bell’aspetto erano quelle che si affacciavano sulla strada Imperiale e che erano state costruite dai francesi come una bella facciata per nascondere delle brutture. La parte vecchia della città era brutta, stretta e malcostruita, tanto che l’aria non poteva circolare liberamente sotto le pesanti e rozze arcate, nè c’erano giardini ben coltivati. L’acqua, racconta sempre il Millin, era abbondante, ma poche le fontane e ci si serviva dei pozzi. Le donne lavavano i panni in mezzo alla strada. Unico prodotto segusino degno di essere apprezzato erano, secondo il Millin, le pommes de Suse che si potevano conservare a lungo. I legumi e il pane giungevano da Torino, quello di Susa era pessimo.
Il commercio era in buona parte in mano agli stranieri e gli artigiani erano brianzonesi e savoiardi. Trovò la porta di Francia brutta e rimase sgomento visitando la chiesa di S. Francesco e vedendo che era stata adibita a magazzino. Trovò la cultura nulla. Nelle sue pagine spietate il Millin dice però delle grandi verità: era il 1811, il blocco economico stava facendo sentire i propri effetti, accanto ad una borghesia che aveva saputo arricchirsi, c’era il popolo che conduceva una vita stentata.
Correva fra il popolo una poesiola rivelatrice:
Quando c’era solo il re si beveva un buon caffè ora che hanno fatto un re di vittoria non si trova nemmeno la cicoria.
Il Millin, che era accompagnato dal canonico Mariotti, cultore delle antichità di Susa, si rivelò molto interessato alle tradizioni e a certi usi singolari dei paesi dei dintorni di Susa. Dopo aver ricordato la storia di Stefano l’impostore e delle false reliquie di S. Giusto, visitata la Chiesa del Ponte, mentre attraversava Susa, vide che alcuni artigiani stavano tracciando la cosidetta berna cioè la striscia di polvere, in genere segatura, che univa la casa dello sposo e quella delle ragazze che egli aveva corteggiato prima di fare la sua scelta definitiva. La gelosia della prescelta, il dispetto di quella rifiutata e l’imbarazzo dello sposo dovevano essere un buon motivo di risa e di divertimento.
Parlando dei villaggi vicini quelli che lo interessarono maggiormente furono gli abitanti di Mompantero dalla parlata ostica e misteriosa che con le loro usanze e costumi costituivano un’isola singolarissima di folclore.
Millin ricorda un’usanza del paese: per sapere se un ammalato era in pericolo di vita gli si presentava un’abbondante minestra, se la mangiava significava che c’era ancora speranza; se la rifiutava, lo si abbandonava al suo destino. Ciò dimostra come i panteremesi fossero fatalisti e legati a tradizioni arcaiche.
Esisteva una differenza notevole fra gli abitanti dell’alta valle e quelli della parte bassa. Gli abitanti delle montagne, a detta del sottoprefetto Jaquet, erano dolci di modi, affabili, istruiti e benché poveri, curavano il loro aspetto esteriore. Quelli della pianura erano più ignoranti e di conseguenza più creduloni e superstiziosi, più grossolani e poco socievoli. Fra costoro, specialmente fra quelli che abitavano ai confini dell’arrondissement, presso Torino, i crimini erano più frequenti. Lo Jaquet attribuisce questo, al fatto che la maggior parte dei terreni di questa zona erano proprietà di ricchi possidenti terrieri di Torino e perciò erano numerosi gli individui che, non possedendo niente, si dedicavano al vagabondaggio e anche al furto.
Nell’alta valle, invece, e nei dintorni di Susa, i terreni erano suddivisi fra piccoli proprietari che lavoravano con impegno la loro terra ricavandone sostentamento per sè e per la propria famiglia.
Egli nota poi che tutti osservavano le leggi e ubbidivano all’autorità, aggiungendo :
Mais cette soumission parait tenir bien plus à une crainte servile qu’à l’amour d’un gouvernement quelconque, ce qu’on ne peut leur imputer à crime, si l’on considère que ce pays, obéré de contributions, hérissé de forteresses, génissait naguères sous l’authorité de gouverneurs militaires, dont les lumières et le despotisme égalaient à peu près celui des pachas.
Questa sottomissione pare dovuta molto di più a un timore servile che all’amore per un governo qualunque, cosa che non si può imputare loro come un crimine, se si considera che questo paese, oberato dalle tasse, pieno di fortezze, gemeva un tempo sotto l’autorità del governatore militare i cui lumi e il cui dispotismo erano uguali pressappoco a quelli di un pascià.
Gli abitanti della valle erano di costituzione robusta e sana, molto laboriosi e parsimoniosi. L’alimentazione nella bassa valle era costituita di patate e castagne in sostituzione del pane (bisogna ricordare che in queste zone la produzione del frumento, a causa del clima, era quasi nulla); nell’alta valle veniva cotto una volta all’anno del pane di segala spesso mista a orzo o avena. Solo alcuni potevano permettersi di consumare ortaggi, carne di vitello e pane di frumento. Il vino, ricchezza della valle, era invece consumato abitualmente.
La metà della popolazione era vestita :
D’un drap grossier blanc ou brun, les femmes de sarge grossière de cette dernière couleur. Le habitans des montagnes portent des souliers qu’ils garnissent de clous; ceux de la plaine vont en partie nuds pieds dans la belle saison.
Di un tessuto grezzo bianco o scuro, le donne di una tela grossolana di quest’ultimo colore. Gli abitanti delle montagne portano delle scarpe che rinforzano con dei chiodi; quelli della pianura nella bella stagione vanno in gran parte con i piedi nudi.
Le malattie erano poche, fra queste il vaiolo che lo Jaquet lamenta non essere ancora prevenuto in queste zone con l’uso della vaccinazione, mentre si è vista l’opera svolta dal Re a questo proposito. L’ultima epidemia di questa malattia fu quella del 1801 che portò alla tomba in pochi mesi diverse centinaia di persone. Nel XVIII secolo non ci furono epidemie; dopo quella di peste del 1530 ce ne fu una assai violenta di difterite alla fine del XVII secolo. Il colera comparve a Bardonecchia nel 1865 e fece 5 vittime tra gli operai che lavoravano alla galleria del Frejus; le tempestive misure sanitarie circoscrissero prima, poi debellarono l’epidemia in breve tempo.
I valligiani erano restii ad accettare l’introduzione di nuove cure e preferivano seguire antiche ricette. Venivano somministrati ai malati: genepy, aristologio, infuso di salvia nel vino caldo. Un problema grave, per lo Jaquet, era quello della pressoché nulla assistenza che avevano le partorienti e i neonati. Per entrambi la mortalità era alta. Egli invitò i comuni più popolosi ad inviare qualcuno in città per seguire dei corsi di ostetricia. Il problema preoccupava già il governo sardo: con circolare dell’intendenza di Susa del 6 aprile 1791, si invitavano i comuni ad indicare i nominativi di alcune donne da inviare a Torino per frequentare un breve corso di ostetricia presso l’ospedale S. Giovanni. Quest’invito non sortì alcun effetto. Lo Jaquet osserva poi che, malgrado il clima ottimo, gli abitanti della valle non vivevano molto a lungo. Le cause di ciò sono da ricercare nel fatto che il loro fisico era continuamente provato dalle fatiche dei lavori campestri che producevano spesso delle ernie perché gli uomini, e a volte anche le donne, sostituivano le bestie da soma (che erano scarse) nel trasporto dei raccolti, per aspri sentieri di montagna. Inoltre le case non erano sane essendo basse, strette e con poche finestre. In montagna c’era poi la cattiva abitudine di dormire, durante l’inverno, nelle stalle accuratamente chiuse.
Où l’air humide et sans renouvellement. perd son oxigène, où une chaleur étouffante porte le trouble dans les fonctions animales et ne peut manquer d’occasioner des suppressions fréquentes de transpiration, en s’exposant sans précaution aux froids vifs du déhors.
Dove l’aria umida e senza ricambio perde il suo ossigeno, dove un calore soffocante causa malattie e morti frequenti dovute alla sudorazione, poiché si esponevano senza precauzione alla temperatura fredda dell’esterno.
II) COSCRIZIONE OBBLIGATORIA
Con l’unione del Piemonte alla repubblica francese (25 giugno 1800), anche i giovani valsusini fecero la conoscenza con la coscrizione obbligatoria. Furono molti gli arruolati che, incorporati nel 111° (i T re Picchetti) reggimento di fanteria di linea, nel 21° reggimento di fanteria leggera, nel 28° dragoni, nel 3° reggimento di artiglieria a piedi (quest’ultimo con deposito a Metz), parteciparono alle campagne napoleoniche, specialmente sui campi di Spagna, da dove molti non tornarono.
Gli iscritti nelle liste di leva, nel giorno stabilito, si presentavano davanti al consiglio di reclutamento municipale, che aveva la facoltà di ricusare quelli che avevano evidenti menomazioni fisiche (zoppi, fatui, ciechi, ecc.) rinviando gli altri al consiglio di reclutamento mandamentale, ove venivano sottoposti a regolare visita medica e, se riconosciuti abili, arruolati, suddivisi in tre classi, secondo criteri che subirono numerose variazioni. Il consiglio di reclutamento municipale aveva anche il compito di procedere alla misurazione dell’altezza e la facoltà di dichiarare inabili quelli che non raggiungevano l’altezza stabilita per l’arruolamento, che era di m. 1,55. Quello che colpisce, scorrendo le tabelle dei riformati, è la frequente statura molto bassa.
Tra le liste di coscritti del periodo napoleonico in un primo mazzo ci sono le liste di ben cinque classi, riunite in volumi, dove sono registrate le operazioni di leva di quel periodo del Piemonte. Alcuni registri riportano l’elenco generale dei coscritti del dipartimento del Po, altri (solo per alcune classi) quelli dei singoli arrondissements. Negli elenchi è segnato il cognome, il nome, la data e il comune di nascita, la professione, l’altezza in metri e millimetri e, quando non è più residente nel comune, dove il coscritto si trova. Normalmente quest’ultima notizia è data con la formula absent sans passport, il che significa che praticamente il giovane era irreperibile; in caso contrario la formula è absent temporaneament avec passport, raramente seguito dall’indicazione del nuovo luogo di residenza. Gli elenchi, evidentemente, non sono completi; si era in fase di organizzazione della coscrizione obbligatoria in Piemonte, che proprio quell’anno (An X = 1802) era stato annesso all’impero Francese. Solo a partire dall’anno XII la coscrizione si svolgerà regolarmente e il gettito della sottoprefettura di Susa, che negli anni precedenti era stato di poco più di 300 individui per classe, si normalizzerà sui 500.
L’indicazione della professione ci dà un dato che ci dice come l’economia della valle fosse prettamente agricola, giacchè gli iscritti risultano essere quasi tutti contadini, qualificati indifferentemente laboureurs o agricoulteurs, mentre una sola volta appare la qualifica di bracciante (journalier) e quella di pastore, benché pastori fossero quasi tutti, essendo la pastorizia parte essenziale e primaria di questa economia agricola.
Pochi gli artigiani: muratori, carpentieri, fabbri, conciatori, pellettieri, mugnai, tessitori; forse perché dato il lungo periodo di apprendistato allora in uso, pochi, a 25 anni, erano ritenuti padroni della propria arte. Relativamente numerosi quelli che esercitavano una professione che richiedeva un periodo di studi: segretario, medico, chirurgo, maestro di scuola, praticante il notariato; circa il 2%, mentre si riscontra uno solo che abbia abbracciato la carriera delle armi e un solo impiegato nell’amministrazione dello stato ed un doganiere; non compaiono gli ecclesiastici.
Quello che colpisce è il gran numero di espatriati; è un indice della povertà dell’economia della zona, ma forse il fenomeno dipendeva anche da un fattore politico, in quanto la coscrizione obbligatoria non doveva aver entusiasmato i valligiani. Sfogliando gli elenchi si constata infatti che il numero degli assenti diminuisce sempre più a mano a mano che l’organizzazione napoleonica si fa più solida e questo è indicato, oltre che dalla diminuzione degli espatrii, clandestini o meno, dal gettito delle classi, che, come sottolineato in precedenza, dagli iniziali circa 300 individui, si normalizzerà in seguito intorno alle 500 unità annuali per quanto riguarda la circoscrizione della sottoprefettura di Susa.
Essendo in quel periodo ancora in vigore l’anno repubblicano, che verrà abolito poco dopo (31 dicembre 1805) da Napoleone, le classi di leva sono sfasate rispetto al nostro anno solare. I coscritti nacquero al tempo del governo francese con la coscrizione obbligatoria (1804); in tale occasione il giovane di leva festeggiava il passaggio dall’adolescenza alla maturità, perpetuando la celebrazione di un evento solennizzato da millenni, che nei secoli precedenti veniva festeggiato con la “badia”; questa festa con la coscrizione obbligatoria assunse un carattere nazionalistico e patriottico che prima non aveva
La festa dei coscritti si celebrò fino alla seconda guerra mondiale, in seguito decadde fino a quasi esaurirsi per i mutati sistemi di reclutamento e con il venir meno dello spirito campanilistico che la caratterizzava.
I coscritti refrattari, cioè coloro che non si assoggettavano al servizio militare, venivano giudicati e condannati dai tribunali di prima istanza a multe che di solito andavano dai 500 ai 1500 franchi.
Viene riportata qui una sentenza del tribunale di prima istanza di Susa:
Le Tribunal de Police Corrertionnelle séant à Suse
A rendu le Jugement suivant: Vu l’Arrêté de monsieur le Préfet du Dépertement du Pô en date du 21‑11 dernier, par lequel des individus, dont en l’état ci‑bas ont été déclarés Conscrits Réfractaires; Vu l’autre arrêté du dit monsieur le Préfet du 17 novembre avec le tableau y annexé contenant son avis sur la quantité de l’amende à imposer à chacun d’eux, solidairement avec leurs père et mère.
Vu les articles 9 et 10 de la loi du 6 floréal an onze, ainsi conçus : Le Préfet ou Sous‑Pr.fet adressera dans les trois jours son Arrêté au Commissaire du Gouvernement près le Tribunal de première instance de l’Arrondissement; le Commissaire requerra dans le même delai contre les conscrits réfractaires, et contre leurs père et mère comme civilment responsables, la condamnation à l’amende portée par la loi du 17 ventôse, an VIII (8 marzo 1800), avec l’impression et l’affiche du jugement aux frais des condamnés.
Le Tribunal prononcera sans désemparer.
Le Commissaire du Gouvernement adressera aussi des copies du jugement au Capitaine de Réclutement, et au Comandant de la Gendarmerie du Département chargé de faire rechercher les dits conscrits, et de les faire conduire au depôt, qui sera designé par le Gouvernement .
“Art. 10 Tout conscrít condamné comme réfractaire sera conduit de brigade en brigade dans un dépôt militaire pour y être à la disposition du Gouvernement pendant cinq ans, et employé dans les Corps Militaires, que le Gouvernement déterminera, et qui seront soumis à una discipline particulière.Vu les art. 69 et 70 du Décret Impérial du fructidor an XIII, (agosto‑settembre 1805), conçus en ces termes:
Art. 69 Le Préfet sera tenu conformément aux dispositions de la loi du 6 floréal an XI, (25 aprile 1803) et dans le délai qu’elle a fixé, de déclarer réfractaires les conscrits qui lui seront ainsi dénoncés, et de trasmettre les arrêtés qui prendra à ce sujet au Commisaire Impérial près le Tribunal de première instance de l’Arrondissement sur la quotité de l’amende à imposer au réfractaire, et dont ses père et ses mère sont cívilment responsables. Cette amende ne pourra être moindre de cinq‑cent francs, ni excéder quinze‑cents francs, suivant les facultés du Conscrit ou de sa famille, et les circontances particulières qui auront donné bien à le déclarer réfractaire.
“Art. 70 Le Commissaire Impérial procédera ainsi qu’il est prescrit par la loi du 6 Floréal an XI, (25 aprile 1803), et les conscrits réfractaires seront condamnés à être traduits dans un Dépôt militaire et à une amende d’après l’avis du Préfet, ainsi qu’il est expliqué dans l’article précédent.
Le Tribunal
Oui Monsieur le Procureur Impérial dans ses requisitoires fixés par écrit;
A condamné et condamne
Tous les Conscrits réfractaires désignés dans l’état nominatif ci‑dessous à être traduits dans un dépôt militaire, et à l’amende fíxée au bas de ce Jugement à côté de leurs noms respectifs.
Ordonne l’impression et l’affiche de ce Jugement à leurs frais.
Déclare les père et mère des dits Conscrits réfractaires civilment responsables à chacun d’eux fixée. Le Jugement sera exécuté à la diligence de monsieur le Procureur Impérial près le Tribunal.
Il tribunale di polizia correzionale di Susa ha espresso il seguente giudizio:
Visto il decreto del signor prefetto del dipartimento del Po in data 21 – 11 ultimo scorso con il quale degli individui, per la loro bassa condizione sono stati dichiarati Coscritti refrattari; visto l’altro decreto del suddetto signor prefetto del 17 novembre con la tabella qui annessa che contiene il suo parere sul valore della multa da imporre a ciascuno di loro, unitamente ai loro genitori.
Visti gli articoli 9 e 10 della legge del 6 floreale anno XI, così concepiti: Il prefetto o sottoprefetto indirizzerà fra 3 giorni il suo decreto al commissario del governo presso il tribunale di prima istanza della Circoscrizione; il commissario ricorrerà nello stesso tempo contro i coscritti refrattari e contro i loro genitori civilmente responsabili, richiederà la condanna alla multa decisa dalla legge del 17 ventoso anno VIII (8 marzo 1800), con la stampa e la pubblicazione del giudizio a spese del condannato. Il tribunale emetterà la sentenza. Il commissario del governo invierà copie del giudizio anche al capitano del Reclutamento e al comandante della gendarmeria del Dipartimento, incaricato di fare ricercare i cosiddetti coscritti e di farli condurre al luogo che sarà stabilito dal governo.
Art. 10. Ogni coscritto condannato come refrattario sarà condotto di brigata in brigata in un deposito militare per essere lì a disposizione del Governo per 5 anni e impiegato nei Corpi Militari che il governo stabilirà e che saranno sottomessi a una disciplina particolare.
Visti gli articoli 69 e 70 del Decreto Imperiale del Fruttidoro anno XIII (agosto-settembre 1805) concepiti in questi termini.
Art. 69: Il Prefetto sarà tenuto, conformemente alle disposizioni della legge del 6 floreale anno XI (25 aprile 1803), e nei termini di tempo che questa fissa, a dichiarare refrattari i coscritti che saranno stati a lui denunciati e a trasmettere i decreti che il Commissario Imperiale emanerà a questo riguardo presso il tribunale di prima istanza della circoscrizione sulla consistenza della multa da imporre al refrattario, di cui i genitori sono civilmente responsabili. Questa multa non potrà essere inferiore ai 500 franchi, né superiore ai 1500 franchi, secondo le possibilità del coscritto e della sua famiglia e le circostanze particolari che avranno dato motivo di dichiararlo refrattario.
Art. 70. Il commissario imperiale procederà come è prescritto dalla legge del 6 Floreale anno XI, (25 aprile 1803) e i coscritti refrattari saranno condannati a essere tradotti in un deposito militare e alla multa fissata dopo la decisione del Prefetto, come è spiegato nell’articolo precedente.
Il Tribunale
Come il Signor Procuratore imperiale ha stabilito per iscritto nella sua requisitoria;
Ha condannato e condanna
Tutti i coscritti refrattari indicati nella tabella seguente a essere tradotti in un deposito militare e all’ammenda fissata in fondo a questo atto giudiziario a fianco di ognuno dei loro nomi.
Ordina la stampa e la pubblicazione di questo verdetto a spese loro.
Dichiara i padri e le madri dei detti coscritti refrattari civilmente responsabili dei loro figli. Il verdetto sarà eseguito grazie alla diligenza del signor Procuratore Imperiale presso il Tribunale
Molto spesso i coscritti refrattari non si reinserivano più nelle file dell’esercito, ma si davano alla delinquenza commettendo furti, rapine e a volte assassini. Infatti negli anni del governo francese i condannati per reati comuni furono molto più numerosi che negli anni precedenti e scorrendo alcuni elenchi di contumaci, si può osservare che molti di questi delinquenti erano appunto coscritti refrattari.
III) SITUAZIONE DEMOGRAFICA
Numero dei morti rilevati presso le parrocchie di Susa (comuni di Susa e Mompantero)
Sotto la dominazione francese si assiste a un decremento demografico. I 2209 abitanti del 1801 diventano 2017 nel 1805 e per riscontrare una ripresa è necessario attendere il 1809 quando la città giungerà a contare 2260 e nel 1814 quando raggiungerà i 3022 abitanti.
Lo Jaquet nella sua statistica ci informa che l’arrondissement di Susa è composto di 61 comuni di cui 23 nell’alta valle e 38 nella bassa. I primi avevano una popolazione di 13.029 abitanti, i secondi di 48.864 abitanti, per un totale di 61.893 abitanti. Egli osserva che nel 1789, in seguito ad un censimento fatto per la consegna del sale, gli abitanti erano circa 64.000. E gli attribuisce, giustamente, questa diminuzione alla guerra e alla distruzione dei raccolti che costrinsero circa 300 famiglie all’emigrazione.