Susa la dominazione francese – Istituzioni Ecclesiastiche

I) LA DIOCESI DI SUSA

La diocesi di Susa fu costituita il 2 settembre 1772. Alcuni problemi provenivano dalle tre valli del Delfinato che facevano parte dello stato Sabaudo da pochi decenni e non erano per nulla inserite nella valle e nel regno; i loro usi, costumi, modo di vita, infatti risentivano fortemente dell’influenza francese.
Quando fu fondata la diocesi il clero secolare della valle era composto di 14 canonici nominati dal vescovo di Torino. Al prevosto spettava la cura delle anime ed esercitava le funzioni parrocchiali nella chiesa cattedrale, all’altare in cui veniva conservato il S.S. Sacramento. Scarsa importanza numerica aveva il clero regolare, infatti in tutta la diocesi c’erano solo 3 monasteri di regolari maschili.
Non pare ci fossero contrasti fra regolari e secolari; i regolari di solito mantenevano un atteggiamento di indipendenza nei confronti del vescovo.
Accanto a questi c’erano delle istituzioni laiche, le confraternite, che si dedicavano all’opera di soccorso dei più poveri e bisognosi. Avevano però scarsa importanza. Nella diocesi c’erano ben 26 confraternite di cui dieci nella valle del Delfinato e a Susa quella dello Spirito Santo.

In città c’erano due parrocchie, una sotto il titolo dei S.S. Giusto e Mauro e l’altra sotto il titolo di S. Evasio, situata a poca distanza dalla città, ma sul suo territorio. I parrocchiani di S. Evasio erano gli abitanti di Mompantero inferiore.

C’erano anche due conventi, uno dei padri Conventuali e l’altro dei Cappuccini.

Se si analizza la situazione economica di tutte le parrocchie della valle, poste sotto la giurisdizione della diocesi di Susa, si nota subito il divario tra le parrocchie delle tre zone del Delfinato e quelle della media e bassa valle: le prime erano in genere più povere delle seconde. Non vi erano delle zone in cui fossero concentrate quelle più ricche o quelle più povere, ma erano mescolate.
Non si può neppure riscontrare un rapporto fra la ricchezza di un paese e quella della parrocchia, perché in vari casi i paesi ricchi avevano una parrocchia con un reddito inferiore a quello di una parrocchia situata in un luogo più povero.
Se si confronta il reddito agricolo medio di una famiglia contadina, con quello di un parroco possiamo notare il cospicuo divario che intercorreva tra i due redditi infatti quello del parroco era decisamente più alto; non bisogna però dimenticare che il reddito agricolo costituiva solo una parte delle entrate di una famiglia e quello di un parroco era considerato al netto delle spese per eventuali collaboratori ed altre necessità. Anche se si tiene conto di queste considerazioni, si rileva pur sempre, in vari paesi della valle, una notevole disparità fra i due redditi.

Il primo vescovo di Susa fu nominato nel 1778:

Sotto il 4 aprile 1778, a questa vedova chiesa, giunse finalmente il fausto annunzio, che il Sovrano aveva destinato per suo primo vescovo il signor abate Giuseppe Francesco Maria Ferraris, della nobile ed antica stirpe dei conti di Genola.

Mons. Giuseppe Francesco Maria Ferraris dei conti di Genola, primo Vescovo di Susa, dal 1778 al 1800.

Mons. Giuseppe Francesco Maria Ferraris dei conti di Genola, primo
Vescovo di Susa, dal 1778 al 1800.

Uno dei primi problemi che monsignor Ferraris dovette affrontare dal lato organizzativo, fu certamente l’aggregazione delle tre valli del Delfinato, che costituivano circa la metà del suo vescovado.
La S. Congregazione del Concilio, in risposta alla prima relazione sullo stato della diocesi segusina, consigliava di indire un sinodo diocesano, cosa che il vescovo rifiutò, adducendo il motivo della diocesi non ancora completa.
Nel 1794, quando morì il vescovo di Pinerolo, monsignor d’Orlié, le tre valli di Oulx, Cesana e Bardonecchia non poterono riunirsi al vescovado segusino, come era stato sancito dalla bolla di erezione del 1772, a causa della guerra tra la repubblica francese e lo stato sardo. Era un momento critico sia per la diocesi, sia per il regno di Sardegna; infatti, come si è visto, le truppe francesi, dopo essersi impadronite della Savoia, avevano occupato Novalesa ed erano penetrate nelle valli del Delfinato.

Bisognò attendere la fine delle ostilità perché le tre valli potessero essere unite al resto della diocesi; ciò avvenne solamente negli ultimi mesi del 1796, dopo l’armistizio di Cherasco. Il vescovo tentò di amalgamare le tre valli del Delfinato, come ci dimostra la bozza di quello che doveva essere il primo sinodo del vescovo di Susa, ma il suo lavoro fu interrotto, all’inizio dell’800, dal trasferimento alla diocesi di Saluzzo.
Il vescovo in questi anni si dedicò alla predicazione, restaurò il seminario e riformò il culto della Madonna del Rocciamelone, trasferendolo in cattedrale. Costruì a sue spese il palazzo vescovile.
Nelle lettere pastorali che scriveva ogni anno alla popolazione si può notare il clima che regnava nel paese. La lettera del 1798 era di tenore ben diverso rispetto alle precedenti. Priva di servili ossequi, non più dell’”Illustrissimo e Reverendissimo”, ma semplicemente del “cittadino” (come si è già avuto modo di osservare in precedenza), annunciava una nuova riduzione del numero dei giorni festivi ad opera del governo francese. Questo governo non poteva certo godere delle sue simpatie essendo egli stesso un nobile e molto legato a casa Savoia. Ciò risulta anche dal tono esultante della lettera pastorale del 1799 con cui dava il benvenuto agli austro‑russi, che avevano cacciato i francesi.

Dopo il trasferimento di monsignor Ferraris alla diocesi di Saluzzo, il vescovado di Susa restò privo di pastore fino al 1° giugno 1803, quando con la bolla Gravissimis temporibus, Pio V II, su pressione del Bonaparte, ridusse il numero delle diocesi da 17 a 8 e modificò, in armonia con i poteri civili, l’organizzazione dei benefici, delle mense, capitoli e parrocchie; tra le diocesi soppresse c’era quella di Susa che fu aggregata a quella di Torino.

Per eseguire la bolla apostolica non si incontrarono le gravi difficoltà che si temevano; perché erano vacanti le sedi di Vercelli, Mondovì Alessandria, Saluzzo, Fossano e Susa e i vescovi di Casale, Aosta, Pinerolo, Alba, Tortona e Biella avevano fatto spontaneamente la rinunzia alla loro diocesi.

La diocesi di Susa fu poi ripristinata il 17 luglio 1817 dopo la restaurazione dei Savoia, da Pio V II con la bolla “Beati Petri”.
Con un altro decreto napoleonico dell’8 maggio 1806, il capitolo di Susa divenne semplice collegiale e i suoi membri, che prima erano 15 (5 dignità e 10 canonici), furono ridotti a 10. Il capitolo collegiale di Susa domandò ed ottenne di essere dichiarato erede dei beni del capitolo di Oulx. Il comune di Oulx comperò in seguito “per istrumento 27 settembre 1813” due campane della prevôté di cui una di 8 quintali che è oggi la seconda del campanile parrocchiale; l’arciprete del capitolo di Susa, Simone Ronda, ne confermò la vendita.
Sempre con decreto dell’8 maggio 1806 dovevano essere trasferiti dalla soppressa collegiata di Oulx a Susa tre canonici e tre mansionariati. Con lettera dell’11 marzo 1811 il capitolo di Susa scrisse a Monsignor della Torre, vescovo di Torino, che aveva fatto la sua visita pastorale nella valle nel 1808:

Eccellenza Reverendissima, siccome nell’imperiale decreto dell’8 maggio 1806 venne soppressa la collegiata di Oulx e quella mensa capitolare unita a quella di Susa, stante che il numero dei canonici resta ridotto a tre di otto che componevano detto capitolo… La preghiamo di dichiararla soppressa di fatto… e che detta collegiata venga unita, in conformità del decreto imperiale, alla collegiata esponente.
Teologo Giuseppe Franco Abbate
Preposto, Teologo Simone Ronda.

L’arcivescovo di Torino in risposta a questa lettera, dichiara definitivamente soppresso il capitolo di Oulx

II) RAPPORTI FRA IL CLERO E I FRANCESI

Per quanto riguarda i rapporti fra i dominatori francesi e il clero, si può osservare che nei primi anni c’era una forte diffidenza e una più o meno aperta opposizione al nuovo governo, di cui si è già avuto modo di parlare in precedenza, e che è confermata da questo documento del 27 ventoso anno VII (16 marzo 1799) in cui la municipalità di Susa riferisce che:

Seppure non in grado di precisare li stessi, vi sono alcuni ecclesiastici che con prediche cercano di allontanare gli animi dal votare la riunione del Piemonte alla Francia.

Riferisce inoltre che “il clero in questo comune è troppo numeroso e per questo motivo pregiudiciale alla pubblica tranquillità”.

Il 17 marzo 1799 il Fava, direttore centrale e delegato, inviò questa lettera ai “cittadini amministratori”:

Il comitato degli affari interni del soppresso governo provvisorio, su petizioni di diversi religiosi del monastero della Novalesa (Costamagna, Soleri) in cui si imputavano all’abate e ad altri membri del medesimo, delle malversazioni e alienazione di effetti e mobili sia di chiesa, che del convento e si chiedeva una provvidenza alle gravi dispute incorse in quella comunità, incaricò la direzione centrale di Susa di spedire sul luogo un membro di essa a verificare l’occorso e a ristabilire la pace scandalosamente violata e bandita dal seno di tale religiosa famiglia.

Si trovò l’ammanco di poche lire che era dovuto probabilmente a qualche errore di trascrizione o di calcolo. Ciò non impedì che fosse grandemente biasimato l’abate e dimostra il duro atteggiamento dei francesi nei confronti del clero.
Ancora venne ordinata la vendita delle suppellettili della soppressa cappella del collegio nazionale di Susa e il versamento del ricavato alle casse dello stato. La municipalità di Susa, con lettera del 2 fiorile anno V II (21 aprile 1799), vi si oppose considerando che “detti effetti sono stati tutti acquistati con doni e offerte de’ giovani studenti di questo comune, che perciò la nazione non vi ha diritto alcuno”. Si pensò di utilizzare il ricavato per togliere “dall’indigenza i donatori stessi che ancora risiedevano nella città.”
A causa poi dell’alienazione dei beni del clero, voluta dal governo francese, molti sacerdoti si trovarono in difficoltà come il canonico della cattedrale Ludovico Mariati che “per l’alienazione fatta dalle finanze, sottrattigli tutti i beni di sua prebenda, non gli rimane più alcun mezzo di provvedere alla sua sussistenza”.
Gli venne assegnato, con decreto dei 4 piovoso anno IX, un vitalízio.
Per gli anni successivi i rapporti, almeno per quanto è dato da vedere dai documenti trovati nell’archivio, si normalizzarono come si può notare da questa lettera dei 5 vendimmiaio anno X (27 settembre 1802), inviata dal vicario capitolare di Susa al generale Jourdan:

Appena ricevuto il foglio di voi, cittadino amministratore generale, colla maggior premura ed interessamento possibile, ho spedito una mia pastorale diretta ai parroci della diocesi ai quali ho comunicata l’importante notizia dell’unione del nostro Piemonte alla repubblica francese, eccitandoli ad unirsi alle loro popolazioni per benedire la provvidenza perché ha disposto che fossimo compresi in una repubblica così luminosa e rispettabile e quindi dal canto loro si preoccupassero di portarsi in maniera che meritassero giustamente il titolo di buoni e fedeli cittadini e inoltre supplicassero umilmente il Signore affinché spanda imponenti le sue beneficenze sopra l’immortale console, sopra voi cittadino amministratore generale, sopra tutti quelli che ci governano e sono constituiti in posto sublime e che in attestato della comune soddisfazione per il grande avvenimento si cantasse nella cattedrale, nella collegiata di Oulx e in tutte le parrocchie, colla maggior solennità possibile l’inno

Te Deum e dopo di esso il versetto “Domine salvame fac repubblicam”. In questa maniera spero adempiuti i vostri voleri e meritarmi la vostra buona grazia.

Le parole di esaltazione e di lode per il nuovo governo in questo scritto certo si sprecano. Spesso si cantava il T e Deum nella cattedrale in ringraziamento per le vittorie di Napoleone.

III) RELIGIOSITA’

Per analizzare la religiosità bisogna riallacciarsi alla situazione socio‑economica della valle e delle relative istituzioni ecclesiastiche. La principale risorsa economica era, come si è visto, l’agricoltura, mentre l’industria aveva scarso peso. Notevole era l’allevamento del bestiame e il commercio, specie quello interno, che sopperiva alla mancanza di buone vie di comunicazione. Si trattava perciò di un mondo agricolo chiuso, immobile e tradizionalista; era insomma un mondo di poveri contadini in balia della natura e dell’assolutismo statale che, appoggiato dal potere religioso, manteneva i contadini obbedienti e rispettosi dei beni delle classi nobiliari ed ecclesiastiche.
Non c’è quindi da stupirsi che in questo mondo di gente tenuta nell’ignoranza e da generazioni sfruttata, fossero presenti le tradizionali superstizioni, come la credenza nel malocchio e nelle streghe; queste precisazioni si adattano alla Val di Susa nella sua totalità, ma all’interno di essa esistevano notevoli differenze.

Per quanto riguarda le tre valli del Delfinato, va precisato che erano economicamente più povere della restante parte della Val Susa, come dimostrano il reddito agricolo pro capite ed il reddito delle parrocchie; ciò è dovuto all’orografia del territorio ed alle notevoli altitudini in cui queste valli sono collocate.
Per l’analisi del tipo di religiosità di queste zone, non va trascurato un importante fattore che aveva, ed ha ancora oggi, nei piccoli centri di montagna, un ruolo notevole: la comunità. La comunità era da secoli, per motivi storici, il cardine della vita di queste valli; era il centro attorno a cui tutto ruotava.
La media e bassa valle erano economicamente più ricche delle tre zone del Delfinato, soprattutto a causa della conformazione più pianeggiante del territorio e della minore altitudine rispetto a quella delle tre valli.
Esisteva però una spaccatura in questa parte, tra i centri che si trovavano sulla principale via di comunicazione, quella del Moncenisio, ed i paesi più lontani da essa. Erano quasi due mondi diversi: meno tradizionalisti ed immobili, più vivi insomma, i primi; tradizionalisti, immobili e chiusi, i centri lontani dalla principale via di comunicazione.

In conclusione, gli abitanti dei centri posti sulla strada del Moncenisio erano più individualisti e spregiudicati, mentre quelli degli altri centri erano più comunitari e tradizionalisti.
Dopo queste brevi precisazioni, ci si può inoltrare ad analizzare il tipo di religiosità della diocesi segusina.
Per quanto riguarda le tre valli del Delfinato, va detto che esse fecero parte della diocesi solamente per un breve periodo di tempo e molto probabilmente si deve imputare a questa causa il fatto che monsignor Ferraris (vescovo di Susa) non dà notizie sulla religiosità di questi luoghi; non si sa infatti se anche qui erano diffuse le superstizioni, come nella restante parte della valle.

Tutto ciò che sappiamo con sicurezza sulla religiosità di questi luoghi proviene dalla memoria che monsignor d’Orlié inviò al conte Bogino sulla situazione di queste valli, durante le trattative di erezione del vescovado di Susa.
Il vescovo parlava delle tre valli come di un’importante fonte di sacerdoti, indispensabili per la diocesi pinerolese, perché parlavano il francese.

Questi sacerdoti venivano inviati nelle zone dove abitavano i valdesi e nelle parrocchie di montagna, dove in genere nessuno voleva abitare.
Sarebbe però un grave errore pensare che questo fosse il sintomo di una profonda religiosità; come si è già osservato, questi luoghi non avevano un’economia molto ricca e quella di sacerdote poteva essere un’occupazione sicura e redditizia.
Il tipo di religiosità era abbastanza particolare; non bisogna infatti dimenticare che in queste zone c’erano state, fin dal secolo XVI, importanti infiltrazioni ugonotte e che solo con la revoca dell’Editto di Nântes (1685), il cattolicesimo poté pienamente rifiorire, dopo alterne vicende di reciproca violenza.
Difficile dire quanto questa religione, imposta qua e là con la forza, fosse penetrata in certi settori della popolazione. Da una relazione di monsignor Ferraris, si conosce il tipo di religiosità, che secondo il vescovo, c’era nella restante parte della Val Susa:

Si vero de Diocesanis loquamur, vel in montibus sit, vel in valle et secus publicum iter frequentissimus: ubi remotior melior, ubi expositior non ita fortasse.

Se in verità parliamo degli abitanti della diocesi, o di coloro che abitano sui monti, oppure nella valle e lungo la strada pubblica molto frequentata: laddove vivono in luoghi più remoti sono migliori, laddove in luoghi più esposti forse non tanto.

Bisogna tener presente, a proposito di questo giudizio, la mentalità conservatrice del vescovo che era ostile ad ogni mutamento. La popolazione che si trovava sulla via di comunicazione, a detta di monsignor Ferraris, era peggiore di quella che si trovava lontana da essa; potrebbe sembrare una contraddizione il giudizio del vescovo se non si conoscesse un po’ la sua personalità e mentalìtà. Certamente, a detta di monsignor Ferraris, la gente che dimorava nei luoghi sulla strada del Moncenisio era peggiore, perché proprio in questi centri il mondo contadino, di per sè chiuso e immobile, si era frantumato per lasciare il posto ad un mondo più vivo.
Anche se non ci sono documenti che attestino con sicurezza quali fossero i paesi in cui più tenacemente le superstizioni erano radicate, dove insomma si credeva alle streghe, si pensa fossero proprio i centri più lontani, i luoghi più isolati, dove la gente, a detta del vescovo, era migliore. Si direbbe piuttosto che il tipo di religiosità dei centri più isolati, fosse quello tipico di una società ingiusta e classista, dove il potere politico si era alleato con quello religioso per sfruttare i poveri; le superstizioni che derivavano da questa ingiusta situazione erano dovute al fatto che la religione, da scudo degli umili, era diventata arma di oppressione.
Certo gli abitanti dei centri situati lungo la strada del Moncenisio non erano peggiori: piuttosto, sentivano l’avvicinarsi di tempi nuovi e dimostravano insofferenza per il cattivo uso della religione che si stava facendo.

IV) CONVENTI

Il 13 fiorile anno IX (3 maggio 1801) venne inviato dallo Jaquet al cittadino Gandolfo, reggente la segreteria degli affari interni, lo “stato dei conventi di religiosi ancor esistenti nel comune di Susa e suo circondario”:

Avigliana, litografia di C.J. Hullmandel su disegno di M.J. Pattinson Cockburn (sec. XIX).

Avigliana, litografia di C.J. Hullmandel su disegno di M.J. Pattinson Cockburn (sec. XIX).

Susa: Convento di S. Francesco, benchè non consti che sia stato soppresso, lo è di fatto, per essere stati, dalla nazione, alienati tutti i beni ad esso spettanti, compresa la fabbrica del convento acquistata da’ cittadini fratelli Sollier. Convento de’ Cappuccini, situato poco lungi dall’abitato, contiene individui 12; cioè celebranti 7, chierici 1, laici professi 4.
Questo è il numero di individui che ha contenuto per il passato. L’abitato potrebbe forse ancora essere capace di altri due o tre individui al più, ma verrebbe a mancar loro affatto la sussistenza, di cui sono già quasi privi gli attuali esistenti. La fabbrica del convento, attesa la sua posizione, potrebbe difficilmente impiegarsi in altri usi di pubblica utilità. Novalesa: Monastero de’ Cistercensi contiene ora due soli individui; cioè l’Abate conventuale e un laico. Negli anni scorsi conteneva 5 o 6 individui, compresi i laici, essendovi alloggio per simil numero di persone.
Siccome però in vista delle alienazioni già intraprese di parte di beni spettanti al detto monastero, il di lui reddito liquido verrebbe a residuarsi a L . 1.000 circa, sembra perciò che non possa supplire alla manutenzione di maggior forza di persone di quelle che esistono.
Il locale del monastero come distante più di mezzo miglio dal luogo di Novalesa e lungi dalla strada, non potrebbe servire ad alcun uso pubblico.

Avigliana: Convento di S. Francesco detto de’ Boschi, contiene, al presente, 5 religiosi, cioè 2 celebranti e 3 laici.
L’abitato è capace per maggior numero di individui, ma avendo sofferto una notabile diminuzione di redditi per le recenti alienazioni fattesi, non potrebbe soffrire l’aumento, salvo di uno o due soggetti al più, avendo per il passato contato comunemente 4 celebranti e 2 laici. La fabbrica del convento poi, come situata sul pendio di un monte, in distanza di miglia due dal luogo di Avigliana non potrebbe servire ad alcun uso pubblico; secondo le notizie più imparziali, sarebbe la soppressione di detto convento pregiudiziale al pubblico di Avigliana e massime delle borgate e case disperse per que’ monte, sia per le assistenze spirituali, che ricevono da religiosi, sia perché questi s’impiegano ad insegnare a leggere e scrivere ai fanciulli di quelle vicinanze che non possono, massime nell’inverno, recarsi alla pubblica scuola.

Convento de’ Cappuccini conta al presente 12 individui, cioé 8 celebranti e 4 laici.
Per il passato è stato poco presso della stessa forza. N on può assolutamente ricevere maggior numero di mendicanti per difetto di sussistenza, che già manca agli esistenti, ridotti a poco pane, minestra ed acqua pura.
La fabbrica, come isolata, non potrebbe servire ad alcun uso di pubblico vantaggio

Come si vede, anche se non furono soppressi in un primo tempo i maggiori conventi della val di Susa, furono drasticamente ridotte le loro rendite e diminuito di conseguenza anche il numero dei frati, ad eccezione del convento di “S. Francesco di Avigliana”.
Quale fosse la condizione dei conventi segusini e che cosa avessero dovuto sopportare in quegli anni di guerra é illustrato in questa lettera dell’anno IX (1800‑1801) inviata dal religioso, padre Alessandro Turelli, al senatore Gandolfo, reggente la Segreteria degli Interni:

Nonostante il lagrimevole stato, a cui è stato ridotto il convento nostro di Susa, spogliato di tutti i raccolti intieramente per un anno, della lingeria da tavola, i letti medesimi in gran parte derubati, cancelli di ferro dalle finestre strappati e da tre balconi, porte e finestre rotte; reso inabitabile il convento per le gran rotture, fuori di servizio la chiesa per i gran guasti fattisi, ridotti siamo a due camere abitabili, dove stiamo tre religiosi malamente, farei troppo lungo se, le disgrazie tutte sofferte da questo convento, io volessi narrare. Quivi si sono nutriti per un mese, 50 e più patrioti, quivi si sono bruciati tutti i boschi delle viti, portate via tutte le serrature; tralascio si lugubre narrativa per non essere di tedio a voi. Nonostante, dissi, il deplorabile stato del convento, alla lettura della cortese sua, presentatami dal cittadino commissario di Susa, nella quale mi invitava ad accettare in convento, certo cittadino Varal chierico, finchè fosse provvisto d’impiego nelle scuole; io, per vero atto di ossequio e rispetto a voi, piegai volentieri il capo nelle eccessive strettezze e miserie in cui sono, lo servii, sinora, dell’ordinario che servo per noi, non potei servirlo di letto, perché non ne ho e fu favorito dalla benevolenza di una casa di Susa. Vedendo ora il predetto chierico Varal, fuori di speranza di ottenere un impiego da maestro in Susa e non vedendo in esso disposizione di sgravarmi dal mantenerlo, supplichevole ricorro a voi implorando lo sgravio di un simile pensionario non sostenibile, per verità, da questo miserissimo convento. Oggi, come siamo attualmente, che due religiosi in convento, siamo stati invitati a pranzo fuori, onde vi rimaneva nessuno in convento. Io non potendo prevenire il chierico Varal, lasciai nella porta un biglietto di avviso che noi eravamo fuori, onde andasse da amici. Questo, in furia, se ne andò a prendere i soldati, per voler entrare a forza, lo che cagionò un chiasso; non so se mi meritassi simil atto. La grazia della liberazione di questo peso e molestia, mi conforterà appieno.

In seguito il governo, il 28 termidoro (16 agosto 1803), anno XI, stabilì che il convento di S. Francesco fosse soppresso.

Il sottoprefetto Jaquet nominò i cittadini Donato Larrieu, aggiunto al maire, e Baron, giudice di pace, commissari per l’inventario delle proprietà attive e passive di questo convento e del numero dei religiosi che vi facevano parte. I religiosi erano: Alessandro Turelli guardiano, Ferrolio Giuseppe dottore, Scaramuzza Nicola laico. Le rendite del convento erano le seguenti:

  1. Rente consituée aliénée par Bonnavero Marie de Gravieres capital 450.00 ff. revenue 7.10 ff.
  2. Rente consituée de Paris Claude capital 300. ff. revenue 18 ff.
  3. Rente constituée alienée par Pierre e Jean Pesaud capital 700 ff. revenue 28 ff.
  4. Autre alienée per Claude et E ldrad Paris capital 200 ff. revenue 10 ff.
  5. Autre envers François T ornor capital 300 ff. revenue 15 ff.
  6. Autre envers Pierre Dumas capital 750 ff. revenue 30 ff.
  7. Autre envers Pierre Bauda capital 120 ff. revenue 6 ff.
  8. Autre envers Jean Riffero capital 100 ff. revenue 6 ff.
  9. A utre envers François Braida capital 523.6.8 ff. revenue 21.3.4. ff.
  10. Autre envers Jean Morel capital 150 ff. revenue 7.10 ff.
  11. Autre envers le notaire François Chapuis capital 2000 ff. revenue 100 ff
  12.  Autre rente constué par Antoine Girard capital 600 ff. revenue 24 ff. Totale capital 5893.6.8 ff revenue 273.3.4 ff.
  13. Monti de St. Jean Baptiste de T urin capital 7650 ff. revenue 251 ff. Totale capital 13543.6.8 revenue 524.3.4 ff.
  14. A nnualités en blé emines 3
  15. Annualité en huile de noix 40.12.0”

Per quanto riguarda il mobilio del convento era andato per la maggior parte distrutto dal furore militare e il poco che restava poteva solamente servire come legna da ardere e “la leur valeur n’equivaudrait pas même au prix du transport”. “Il suo valore non equivarrebbe neanche il prezzo del trasporto.”
Erano rimasti solamente 8 libbre e due pezzi di metallo pesanti, in tutto 21 rubbi, provenienti dalla campana della chiesa che i padri nel momento di maggior disordine avevano calato dal campanile per restare in possesso almeno del metallo, essendo stata anch’essa rotta.
I quadri, che per fortuna non erano di gran valore, furono squarciati a colpi di sciabole, si pensa che rappresentassero solamente soggetti religiosi perché nessun dipinto fu risparmiato. Stessa sorte toccò ai libri, di cui rimasero solamente 14 esemplari,

Il ne reste donc au pouvoir de la nation que le metail brisé, que ne pouvant plus être considéré comme cloche, puisqu’il en a perdu la forme.

Non resta dunque per lo stato che un metallo rotto, che non può essere considerato una campana perché ne ha perso la forma.

La situazione dei frati era dunque disastrosa e, come si è visto anche dalla lettera precedente, avevano dovuto vivere del buon cuore dei loro parenti e amici. Essi chiesero che fosse lasciato loro almeno il metallo della campana :

En compensation de tant desastres soufferts et en vue que les revenus du convent, les quelle cèdent à la nation, peuvent suppléer à la privation de la valeur de la cloche.

Come risarcimento per le tante disgrazie sopportate e poiché le rendite del convento, cedute allo stato, possono compensare il valore della campana.

Per quanto riguarda i terreni del convento, essi erano già stati venduti in precedenza. La devastazione subita dalla chiesa e dal convento fu davvero grande, ne rende testimonianza inoltre questa lettera del 13 vendemmiaio anno XI (5 ottobre 1802) del maire della città di Susa che riconosce che:

En cette ville dans les différentes actions et reactions de la guerre et à l’entrée alternative des truppes, d’après fraction de toutes les portes, furent pillés tans les vases sacrés et ornements de l’église que les meubles de la maison, vins denrées et bibliothèque, dont une grande partie de livres fut dispersée, ainsi que les titres qu’on jetta dans les rues tous dechirés, ayant le tout mis en desordre; de façon qu’en plusieurs reprises le convent fut delabré et reduit avec les simples murs dans un état inhabitable n’y ayant laissé que quelques debris en bois et cercles de fer presque de nulle valeur: qu’enfin on peut dire que le pillage fut complet puisqu’on a même emportées les croisées des fenêtres, serrures verroux, et autre ferrements infixés aux murs sans épargner la moindre chose.

In questa città, nelle diverse azioni e reazioni della guerra ed all’entrata alternativa delle truppe, dopo la rottura di tutte le porte, furono portati via sia i vasi che gli ornamenti sacri della chiesa, sia i mobili della casa, vini, derrate e biblioteca, una gran parte dei cui libri fu dispersa, come quelli che furono buttati nella strada tutti strappati dopo aver messo tutto in disordine; in parecchie riprese il convento fu distrutto e ridotto ai semplici muri, in una condizione di inabitabilità, non essendoci rimasto che qualche frammento di legno e cerchi di ferro quasi di nessun valore; infine, si può dire che la devastazione fu completa poiché furono portate via persino le inferriate delle finestre, serrature, chiavistelli e altri ferri infissi ai muri, senza risparmiare la più piccola cosa.

Una sorte diverso toccò all’altro convento segusino, quello dei Cappuccini, che situato vicino alla chiesa di S. Evasio, si trovava un po’ fuori Susa e forse per questo fu risparmiato dalla furia devastatrice della soldataglia francese. Antonio Jaquet il 16 fruttidoro anno X (3 agosto 1802) inviò al prefetto copia dell’inventario degli effetti appartenenti ai Cappuccini che era stato steso dai commissari da lui nominati nelle persone di Donato Larrieu, aggiunto della municipalità di Susa, e Baron, giudice di pace.
Gli ecclesiastici viventi nel convento erano:

  • Besson Martin di Vigone P. Benedetto guardiano
  • Busca Giambattista di Cassano P. Carlo Giuseppe vicario
  • Monia Giuseppe di Carmagnola P. Fulgenzio sacerdote
  • Lesquier Jean di T orino P. Eduardo sacerdote
  • Picca Giambattista di Buriasco P. Aventino sacerdote
  • Besson Gianfrancesco di Vigone P. Anselmo sacerdote
  • Capra Felice di Alfiano P. Basilio sacerdote
  • Baud Giuseppe Umberto di Rumilly P. Sulpizio sacerdote
  • Gandiglio Carlo Francesco di Moncalieri P. Francesco religioso
  • Abrate Francesco Antonio di Savigliano P. Pietro religioso
  • Carbon Vincenzo di Asti P. Vittorio religioso
  • Arnaud Gianni di Sellier P. Emiliano religioso

Lo stato del convento era ottimo, i commissari lo visitarono in tutte le sue parti e trovarono tutto in buono stato ad eccezione delle intelaiature dei corridoi che furono trasportate in un’altra stanza e subirono i danni del tempo e delle intemperie.
Anche il giardino era in buono stato ed in ordine e osservarono che la biblioteca era sempre chiusa a chiave, secondo gli ordini.
Venne steso anche un elenco dei libri contenuti in questa biblioteca che conteneva ben 428 volumi, tutti in ottime condizioni.