Fin dall’inizio della rivoluzione francese la Val di Susa vide passare i primi nobili che dalla Francia devastata si rifugiavano a Torino presso la corte di Vittorio Amedeo III, acerrimo nemico della rivoluzione.
Benché dal 1748, anno della pace di Aquisgrana, regnasse la pace, la vita dei valligiani non era certo facile infatti, l’unica ricchezza del paese proveniva dall’agricoltura che dava scarsi frutti a causa del suolo montuoso e sassoso e del clima piuttosto rigido.
Fin dagli anni precedenti il 1789 si allungano gli elenchi contenenti i nominativi delle famiglie più povere che dovevano essere esentate dalla aumentata levata del sale. A questo fine erano nominate commissioni apposite di cui si trova traccia nell’archivio comunale di Susa. Per far fronte alle spese si ricorreva a dei prestiti, come mostra l’ordinato del consiglio comunale del 7 marzo 1791: “concernente l’imprestito di L . 6.000 trovandosi la città sprovvista di redditi e con questi soldi potrebbe supplire a diverse urgenze senza sovraccaricare l’universale registro”.
Molti giovani venivano arruolati nell’esercito che assicurava uno stipendio a chi ne faceva parte. Numerosi sono gli ordinati relativi alla nomina di soldati “per servire nel Reggimento Provinciale di Susa”.
Questo reggimento fu creato con Regio E ditto del 20 aprile 1786; era costituito da due battaglioni composti da uomini della Val di Susa, del Pinerolese e del Canavesano.
Suo primo comandate fu il cav. N ichelino, cui V ittorio Amedeo III ordinò che la forza della nuova unità raggiungesse i 1400 uomini. La vita della città fu naturalmente coinvolta per assicurare la sistemazione dei soldati, infatti il sovrano stabilì che:
La ville de Suse fournira, outre la salle d’armes, le quartier pour le logement des bas-officiers et soldats, lesquels feront leur ordinaire en chambrée, et au cas que le quartier ne soit pas ancore pourvu à l’assemeblée de formation, l’officier général de la solde les fera loger chez les particuliers.
La città di Susa fornirà, oltre alla sala d’armi, anche gli alloggiamenti per i sottufficiali e i soldati che svolgeranno le loro mansioni ordinarie, e qualora gli alloggiamenti non siano ancora stati preparati, l’ufficiale generale li farà sistemare presso privati.
Il reggimento fu alloggiato in via dei Mercanti in un caseggiato di proprietà Turbil; si sa che “i suoi tamburini davano ogni giorno il segnale di mezzogiorno e del coprifuoco percorrendo le vie della città al suono dei loro strumenti”.
Tra coloro che si arruolarono troviamo Antonio Rana, ultimo discendente di una famiglia di studiosi, nipote del famoso architetto Carlo Andrea. “Uomo di valore, egli combattè valorosamente contro i francesi al colle Rans e allo Authion e passò più tardi alle dipendenze dell’Armata Russa”.
Il 22 settembre 1792, 8.000 francesi, comandati dal generale Montesquiou, invasero la Savoia e la conquistarono senza troppa fatica, mentre i Sabaudi del Lazary si ritirarono senza quasi colpo ferire.
Tra le truppe piemontesi in ritirata c’era anche il reggimento di Susa, il cui comandante, marchese di S. Severino, ordinò durante l’attraversamento della Moriana lo scioglimento dei battaglioni per impedire che i suoi uomini cadessero prigionieri. Prima di congedarli si fece promettere di ritrovarsi tutti sulla piazza di Susa il 1° gennaio 1793 per ricostituire il reggimento. Nel giorno fissato non un uomo mancò all’appello. Il reggimento provinciale di Susa fu in seguito inviato a combattere a Utelle e nei campi trincerati dell’Alta Val d’Aosta. Infine, in osservanza dell’art. 4 del trattato di Parigi (15-5-1796) che imponeva la riduzione dell’Armata Sarda a causa della pace, venne disciolto a Ciriè.
Datasi la sua posizione di vicinanza ai confini naturali con la Francia, Susa fu direttamente coinvolta in questa prima fase della guerra anche se non toccò direttamente i suoi territori. La tranquilla vita dei borghi divenne in breve l’attività frenetica di una postazione di frontiera. Già il primo giorno di guerra quando nel pomeriggio iniziò la ritirata generale “Susa prese le armi e si tenne consiglio di guerra”.
Dagli scarsi documenti trovati nell’Archivio Comunale riguardanti questo periodo si osserva come la città e la provincia siano coinvolte nel contribuire alle provviste di foraggio destinate alle Regie Truppe:
1° dicembre 1792. Deliberazione per la provvista di foraggio che scarseggia nei forti della Brunetta e di Exilles. Il fieno ha un prezzo eccessivo di soldi 14 e la paglia di soldi 10. Non potendo il Comune provvedere il foraggio per tutte le Regie Truppe, si prega l’Intendente di inviare una circolare alle comunità di questa provincia per il concorso nel versamento di mezza libbra di fieno e tre di paglia per ogni soldo di registro e di portarli in breve termine nel magazzino fatto preparare nella soppressa chiesa di S. Maria.
Dal sig. Giuseppe Rosaz, l’11 gennaio 1793, venne affittato un altro magazzino per la paglia e il fieno “da adibirsi al consumo militare e venne stabilito di apportarvi alcune riparazioni”.
Il 30 dicembre 1792 venne nominata una deputazione per accertare la popolazione casa per casa e il bestiame della città e del territorio circostante con questa suddivisione:
- tutti i maschi maggiori di anni 60
- quelli dai 16 ai 60 anni e tra questi
- quelli abili alle armi
- quelli dai 7 ai 16 anni
- i minori di anni 7
- tutte le femmine e figlie
- le vacche e le manze
- le arborele e i vitelli
- le lanute da latte o senza e le caprine
- i buoi da giogo
- il vino di prima e seconda qualità
Questa specie di censimento serviva per avere presente lo stato delle famiglie per poter nominare i soldati.
A quel tempo l’esercito era formato in parte da volontari che erano gli abitanti più sbandati e senza mezzi di sussistenza che trovavano nel servizio militare un’alternativa alla loro vita disgraziata. Per il resto erano i comuni che, a seconda delle necessità del momento, dovevano fornire un determinato numero di uomini e naturalmente vi inviavano i peggiori soggetti della città per liberarsene, giungendo anche ad inviare le persone che erano in prigione per aver compiuto dei misfatti.
Così l’esercito era allora costituito dalla peggior feccia delle varie località e quando, a causa della guerra, c’era bisogno di un gran numero di uomini, gli arruolamenti erano difficili perché le persone che godevano di una certa agiatezza economica preferivano pagare una data somma per essere esentati dal servizio militare. Altri si facevano congedare dopo poco tempo per malattie o adducendo problemi familiari gravissimi che richiedevano la loro presenza. Numerosi esempi di soldati che vengono congedati per questi motivi si trovano negli Ordinati di quegli anni. Con la perdita della Savoia e del contado di Nizza all’inizio del 1793 si pensò di rinforzare l’esercito e di aumentare le compagnie di milizia (che erano costituite da uomini reclutati vicino ai luoghi di combattimento per far fronte ai nemici) che dovevano avere “per maximum 48 uomini e per minimum 36”.
Quella del 1793 fu una guerra dura e difficile, quasi tutta condotta sulle montagne; nel luglio i francesi si mossero verso il forte di Exilles fatto erigere nel 1748 da Carlo Emanuele. Fu costruito dal Bertola:
Aveva quel forte l’aspetto di una nave; aspetto che gli viene naturalmente impresso dalla forma dell’unica roccia su cui esso si estolle.
Volgeva verso la Francia tre ordini di fuochi con molti edifizi a botta. La sua posizione era importantissima: il sistema difensivo che sbarrava la valle della Dora era integrato da una serie di ridotte che andavano dall’Asietta ai Quattro Denti.
Il piano operativo francese, preparato dal generale Espagne ed approvato dal Comitato di Salute Pubblica, prevedeva la conquista delle difese minori e quindi l’investimento del forte. A contrastare il passo ai francesi, guidati dal generale Dumas, c’erano le forze della II° divisione piemontese del marchese Cordon che aveva ai suoi ordini quattro battaglioni di granatieri, uno di Cacciatori, ed i reggimenti Chiablese, Regina, Ivrea, Pinerolo, Moriana e Royal Allemand. L ’attacco francese fu violento ed ebbe successo nella prima parte: fin dal primo giorno caddero le posizioni dall’Assietta (Ridotte Exilles, Croce di Malta, Francia, Tenaglia e Sardegna) ai Quattro Denti (ridotta di S. Ruggero).
A sostenere l’urto repubblicano rimase solo il forte di Exilles intorno a cui il 7 luglio gli zappatori francesi iniziarono i lavori di avvicinamento e prepararono le piazzole per i pezzi d’artiglieria.
Il 15 dello stesso mese iniziò il bombardamento: cinque batterie per 15 giorni bersagliarono le difese di Exilles, ma il loro fuoco non provocò eccessivi danni, così fallì l’attacco della Brigata Vallette. I francesi, respinti, ripiegarono il 31 luglio su Gap.
Sconfitti nel settore del Monginevro, i repubblicani per il resto dell’anno si limitarono ad una guerricciola minacciando ora di scendere dal Monginevro ora dal Moncenisio.
La città di Susa nel frattempo fu impegnata ad organizzare i rifornimenti granari per le truppe Regie che sempre in maggior numero si ammassavano e transitavano per la città per raggiungere i luoghi di battaglia. Il 12 aprile 1793 la Muncipalità emise una delibera relativa all’apertura di una porta nel magazzino affittato dal signor Giuseppe Rosaz, “che permetta, oltre a quella per il passaggio del fieno, anche il transito dei cavalli delle Regie Truppe”.
Nello stesso mese, il 20 aprile, furono stanziate “lire mille per l’acquisto di fieno nei luoghi circonvicini e delle Città”, e fu nominato il signor Giuseppe Biglia quale “ricevitore e distributore della biada e di una deputazione per la provvista della medesima”.
Al 24 giugno risale una “Sottomissione di Giuseppe Bolognin per la provvista di fieno alla Città di 10.000 rubbi, al prezzo di soldi 10 al rubbo per le bestie degli ufficiali” e il 30 agosto un’altra “Sottomissione con cauzione di Felice Borghese a favore della città di Susa per la provvista di emine 10.000 di biada al prezzo di soldi 45 e denari 6 per emina, per i cavalli degli ufficiali delle Regie Truppe e per altri destinati al servizio delle armate”.
Conseguenza diretta della guerra combattuta così vicino alla Città fu anche il problema della sistemazione dei soldati caduti in battaglia come mostra la delibera del consiglio comunale del 24 luglio 1793:
Per le riparazioni del Cimitero dei soldati posto nella regione S. Giovanni, non essendoci più spazio e terra sufficienti per il seppellimento datasi la gran quantità di morti deceduti nella corrente annata.
Si stabilisce di portarvi una gran quantità di terra e di liberare una parte di terreno da pietre e rovi e di tenere una nota distinta della spesa per poterla poi consegnare “all’Ill.mo Intendente perché procuri il rimborso dall’Ufficio Generale del Soldo, trattandosi di opera concernente il Regio militare servizio”.
I francesi tornarono all’attacco i primi di aprile del 1794 dal Moncenisio che era presidiato da circa 3000 piemontesi stanziati tra l’Ospizio, la Gran Croce, le grange dell’altopiano. La zona fu fortificata: con l’aiuto della popolazione di Novalesa e Ferrera furono allestite alcune opere di difesa sotto la direzione del suo ideatore, il notaio Boschis di Susa.
La linea fortificata si estendeva su tutto il margine occidentale del valico, a cavallo della strada reale che scendeva verso Lanslebourg. Si appoggiava a destra alla Cima della Nunda e proseguiva verso le grange Arcellins e il Plan della Tomba, fino alla Ramasse dove incrociava la strada reale. A sinistra si spingeva invece verso le grange Rivet e le falde della Petite Turra.
In queste fortificazioni si attendeva l’attacco francese. Fin dal gennaio di quell’anno infatti il Comitato di Salute Pubblica ordinò al generale Dumas di impadronirsi del valico, ma il piano non potè essere attuato fino al 6 aprile a causa dell’eccessivo innevamento. I francesi si mossero al comando del generale Serret, di soli 24 anni, e si presentarono soltanto all’alba presso i nostri trinceramenti, ma furono sorpresi dal sergente piemontese Rocher, detto Belhumeru, gran cacciatore, che proprio quella mattina si avventurò fuori dalle linee per avvistare camosci. Dato l’allarme, i nemici furono accolti a fucilate e ripiegarono disordinatamente fino in fondo al Rio Vallette. Il generale Serret tuttavia non desistette e tentò di aggirare la posizione, ma i suoi furono respinti per la seconda volta ed egli stesso perse la vita. Tra le truppe repubblicane si contarono dei casi di insubordinazione, un intero reparto, che era agli ordini del maggiore Meyer, abbandonò le armi dichiarando che:
Ils se foutaient bien de se battre pour conquérir un si vilain pays.
Non li interessava combattere per conquistare un paese così arretrato.
Intervenne il generale Dumas e alcuni soldati e ufficiali furono fucilati, mentre gli abitanti di Lanslebourg e Lanslevillard, sospettati di simpatizzare per i piemontesi, furono deportati al forte Barraux e i due paesi saccheggiati.
I francesi furono più fortunati sul Monginevro dove il generale Vallet occupò il colle quella stessa primavera, mentre altri distaccamenti discesero dal Colle della Scala, dove i piemontesi resistettero a lungo, da quello della Rho, del Frejus e della Pelouse convergendo nella conca di Bardon a Bardonecchia e Oulx bruciando i magazzini dell’esercito piemontese. Nonostante questi successi i francesi non osarono attaccare il forte di Exilles. Sul Moncenisio il generale Dumas preparò una nuova azione ammassando 5000 soldati e preparandosi ad attaccare nella notte fra il 12 e il 13 maggio. Da parte piemontese la vigilanza si era allentata. A comandare le truppe c’era il generale Chino che trasferì il comando a Susa. Sul colle rimasero 2000 soldati, pochi per una valida difesa. La disciplina era scarsa; alla Ramasse alcuni ufficiali, per vincere la noia, recitavano versi, mentre i soldati sonnecchiavano nei ridotti Rivetti e Villaret. I francesi attaccarono con decisione. Divisi in tre colonne occuparono in breve l’Ospizio; gli 800 difensori del colle furono fatti prigionieri, molti furono i caduti mentre le perdite francesi furono insignificanti. I repubblicani giunsero fino a Novalesa, ma non osarono arrivare fino a Susa per timore del forte della Brunetta considerato imprendibile.
Il forte della Brunetta, scavato tutto nella viva roccia, era stato costruito sotto Carlo Emanuele dal Bertola non esistendo prima che la rocca di S. Maria, edificata sotto Emanuele Filiberto nel 1566.
Era questa bella fortezza destinata a chiudere la valle del Moncenisio là dove la Cenisia versa nella Dora Riparia.
Conteneva un ospedale e una enorme cisterna; le sue opere esterne erano legate al forte principale per mezzo di gallerie coperte a prova di bomba. La sua costruzione terminò nel 1757. Cadde, senza aver mai dovuto affrontare un attacco, a causa del trattato di Cherasco del 1796.
La notizia della caduta del Moncenisio gettò la Corte di Torino nella costernazione: il barone Chino, ritiratosi nella sua terra di Montemagno, morì poco dopo per il dolore.
La situazione rimase invariata per tutto l’anno. Il comandante francese ritirò i suoi uomini al di là delle Alpi a causa della cattiva stagione e della pressione dei piemontesi.
Durante il 1794 la città di Susa fu direttamente coinvolta nelle vicende della guerra che si combatteva a poca distanza proprio a causa del trasporto delle artiglierie e degli animali da montagna. Già dall’inizio dell’anno si ebbe un notevole afflusso di Savoiardi che riparavano a Susa dalla loro regione occupata dai francesi creando problemi di ordine pubblico e di sistemazione, come mostrala delibera del 24 gennaio 1794:
Riguardante una specie di censimento della popolazione abitante nella Città e Territorio sia per tutto ciò che può concernere il buon ordine in vista, prima della grande affluenza di forestieri, specie di Savoiardi qui domiciliati, sia per aver presente lo stato delle famiglie nei capi di nomina dei soldati e di milizie che giornalmente occorrono.
Proprio e causa della guerra che si combatteva sul Moncenisio furono radunati a Susa i primi di maggio nutriti gruppi di milizie volontarie formate da contadini del luogo che furono riuniti l’uno, in piazza S. Carlo, e l’altro, in piazza D’Armi. Affinchè i francesi non notassero queste milizie accampate all’aperto nelle due piazze ed anche per impedire a questi “volontari” di cambiare idea (infatti molti erano stati arruolati con l’inganno come spesso facevano per l’esercito regolare, dai sergenti reclutatori che inducevano gli uomini a bere e poi e firmare la loro adesione quando non erano più in grado di connettere), furono rinchiusi gli uni nel convento dei Francescani, e gli altri in quello dei Cappuccini, in attesa di essere avviati al Moncenisio.
La continua presenza di soldati e di persone di passaggio metteva in pericolo anche i raccolti già faticosamente ottenuti in queste terre tanto che, il 21 agosto 1794, fu disposto di “trovare delle guardie che unitamente alle truppe devono sorvegliare la campagna fin dopo la vendemmia”,28 per evitare che i campi fossero spogliati prima del tempo. A ciò si aggiungevano le prime avvisaglie della carestia che si sarebbe manifestata in proporzioni sempre maggiori negli anni successivi, come dimostra questo Regio Editto del 3 ottobre 1794 inviato alla Municipalità di Susa:
Dopo le copiose incette di grano che abbiamo recentemente fatte all’estero per l’uso della nostra Armata, eravamo nella giusta fiducia, che nonostante la scarsezza del raccolto del fromento i prezzi delle granaglie si sarebbero contenuti in una discreta misura, sia perché sul totale delle provviste non si manifestò eguale diminuzione nella segala, sia perché al difetto del primo raccolto avrebbe supplito la notoria abbondanza del secondo. Ma nonostante l’assicurata esistenza nello Stato del fondo in granaglie necessario alla sua consumazione, abbiamo il rammarico di intendere che tutti i generi di esse hanno preso un esorbitante prezzo. Ci facciamo perciò una viva premura di andarVi sollecitamente al riparo con quelle più efficaci provvidenze che nell’assicurare l’affluenza di grani sui pubblici mercati, siano atte a richiamare i prezzi a discreti limiti.
Nella primavera del 1795 i francesi scesero nuovamente dai valichi alpini e occuparono le posizioni dell’anno precedente benchè il Duca d’Aosta, il futuro re Vittorio Emanuele I, compisse ogni sforzo per arginare la pressione.
Il 12 aprile egli si recò a Susa per ispezionare le posizioni avanzate che si trovavano nella valle stessa e in quella di Exilles. Verso la fine di settembre i francesi giunsero alla Novalesa accerchiandola.
La negligenza con cui il cavaliere De la Rogne, luogotenente‑colonnello d’Aosta, che comandava a Venaus lasciava fare i servizi, fu la causa che fece sì che non si avesse nessuna pattuglia da quel lato. I colpi cominciarono alla S. Maria, dove le milizie Savoiarde vollero resistere contro gli ordini e si fecero accerchiare.
Il villaggio fu preso e le truppe partite da Susa per portare aiuto arrivarono quando già la Novalesa si era arresa essendo stata avvisata del movimento dei francesi troppo tardi. Le perdite furono di circa 60 uomini fatti prigionieri, quelle del nemico quasi nulle.
Per il resto degli avvenimenti di quell’anno si trattò più di guerriglia di montagna che di guerra vera e propria. La soluzione della lotta venne da altri fronti: le vittorie napoleoniche di Dego, Millesimo e Montenotte infransero la resistenza piemontese dopo una guerra di quattro anni durante la quale le truppe sabaude si batterono bene destando l’ammirazione del nemico e dell’alleato austriaco.