Susa Arco di Augusto

L’Arco e il suo significato

Da quasi un secolo, il viaggiatore che – via mare – giunge nell’affollato porto indiano di Munbay (più conosciuto con il tradizionale nome di Bombay) resta stupito dal trovare, sul limitare dei moli, un gigantesco arco trionfale.

L’arco “Gate of India” a Mumbay, inizio XX secolo

Una presenza inattesa, ma che ha una precisa motivazione storica: l’arco – denominato Gateway of India – fu voluto dagli Inglesi, negli anni intorno al 1920, come punto ufficiale di ingresso nei loro domini indiani: nel realizzarlo, gli Inglesi fusero insieme il classico modello dell’arco romano con le componenti dell’architettura tradizionale indiana, creando un edificio certamente ibrido, ma comunque di grande effetto spettacolare.
Se l’arco di Munbay ancor oggi ci stupisce, facile immaginare l’impressione che avrà fatto – proprio negli anni corrispondenti alla nascita di Cristo ed all’inizio della nostra era – ritrovare in una sperduta cittadina delle Alpi – l’antica Segusio, l’odierna Susa – un altrettanto gigantesco arco di pietra, svettante su un panorama che possiamo facilmente immaginare costituito dalle capanne dei  Celti, abitanti di Segusio, e dalle prime costruzioni in pietra, che incominciavano a sorgere secondo lo stile di vita appena importato dai Romani.
Eppure, a ben vedere, l’arco di Susa e l’arco di Munbay sono l’espressione dello stesso fenomeno storico: il contatto tra due civiltà molto diverse tra di loro, in cui una delle civiltà (i Romani nella Segusio dell’anno zero, gli Inglesi nell’India di fine XIX secolo) domina sull’altra, ma senza cancellarne natura e costumi, pervenendo ad una sintesi che – seppur tra inevitabili problemi e sofferenze genera un mondo nuovo, lasciando a noi eredi preziosi monumenti e precisi ricordi.
Se oggi affrontiamo la storia, il significato e le prospettive dell’Arco di Susa, non ci pare pertanto fuori luogo calarci per un momento nello “spirito dei tempi”, andando a leggere – per quanto possibile, venti secoli dopo – le vicende che portarono un monumento tipicamente romano a sorgere in mezzo ai Celti, all’alba di un periodo che vedrà la potenza di Roma imporsi su tutto il Mediterraneo e su buona parte dell’Europa.
Speriamo che ne risulti una trattazione interessante: ci auguriamo che sia anche una narrazione utile, in quanto ci potrà insegnare quanto sia sbagliato dare del “primitivo” ad un popolo diverso da noi, nonché a come sia facile – per certi popoli ed in certi momenti storici – “cambiare pelle”, adeguandosi rapidamente e con successo ai costumi di nuovi dominatori.

Motivazioni e Caratteristiche

L’Arco di Augusto, oggi che inqudra la vetta del Rocciamelone (3538 metri slm)

Sappiamo quanto i Celti amassero “essere grandiosi”, nelle loro realizzazioni che mutuavano dal mondo greco-romano: possiamo quindi ora approfondire le motivazioni che li spinsero a realizzare l’Arco, le sue caratteristiche dimensionali ed anche alcune ipotesi sui mezzi finanziari, con cui fu realizzata un’opera tanto originale ed imponente.

Nel caso specifico dell’arco di Segusio, sappiamo che esso fu realizzato da Cozio, il “Re” celtico di questa parte delle Alpi, che volle celebrare con il monumento l’amicizia con l’Imperatore Augusto e l’ingresso del suo regno alpino nella sfera d’influenza romana: l’Arco, inaugurato nel periodo 8/9 avanti Cristo, reca una lunga iscrizione in latino che ricorda appunto l’accordo tra Augusto e Cozio ed è ornato da un fregio scolpito, che rappresenta le complesse operazioni, politiche e religiose, che portarono all’ingresso di questa parte del mondo alpino nell’orbita romana, in maniera pacifica.

Scena centrale del sacrificioScena centrale del sacrificio

L’Arco ha dimensioni imponenti: è alto 13,30 metri (due terzi dell’Arco di Costantino, a Roma), largo 11.93 metri e profondo 7,30 metri; l’unico fornice è alto 8,85 m. e largo 5,86 m.
Occorre inoltre ricordare che, all’epoca in cui sorse, la tipologia dell’arco onorario era ancora poco diffusa, in tutto il mondo Romano: addirittura, l’Arco di Susa risulta il primo in assoluto ad essere arricchito da un fregio narrativo (posto subito al disotto dell’iscrizione), che presentava ai viandanti lungo la strada delle Gallie (anche a quelli incapaci di leggere l’iscrizione in latino) la storia completa dell’alleanza tra Romani e Cozio, perpetuandone la memoria.

Monumento attestante il culto alle Matronae, divinità femminili di origine celtica (I sec. d.C.) custodito presso il Museo di Antichità di Torino.

Nulla sappiamo di Cozio, e resta addirittura il dubbio che – in origine e prima della trascrizione romana in “Cottius” – il suo sia stato non un nome proprio, ma un titolo, con il quale – comunque – egli volle farsi riconoscere dai nuovi amici Romani, diventando appunto per sempre “Cottius”, trascritto poi in italiano come “Cozio”.
Le motivazioni per cui fu scelto di realizzare un “Arco”, ed il grande sforzo che lo rese possibile, non ci sono direttamente note, ma sono immaginabili, con un buon tasso di verosimiglianza.
Certamente Cozio fu mosso dal desiderio di assimilare il suo regno ed il suo stesso “stile di vita” al grande esempio dei Romani: da ciò il desiderio di realizzare un monumento nuovo e meraviglioso – qual era appunto l’Arco – che segnasse in maniera eclatante il suo ingresso nel nuovo mondo di Roma.

Possiamo tuttavia pensare che, nel realizzare l’Arco, Cozio abbia dato anche sfogo al gusto, tipico dei Celti, per le opere vistose e dispendiose, intese come simbolo di ricchezza e di successo.
I risultati hanno premiato l’orgoglio e l’impegno di Cozio: dopo due millenni, la sua opera svetta ancora sulle Alpi, incorniciando – al centro dell’arco la mole del Rocciamelone, che con i suoi 3538 metri svetta su tutto il panorama della Alpi Occidentali
Ma di Cozio e della sua potenza, economica e militare, nulla sappiamo. Possiamo tuttavia immaginare che le sue ricchezze derivassero dal dominio dei traffici che si svolgevano attraverso le Alpi: Cozio controllava infatti ambedue i versanti alpini ed i due valichi del Moncenisio (verso l’Europa centrale) e del Monginevro (verso l’Europa meridionale).
È tuttavia probabile che il territorio di Cozio contenesse anche importanti miniere di stagno ed  argento, che sappiamo ancora attive in epoca medioevale.
Il patto con i Romani assume pertanto caratteristiche precise: il Re celtico diventa cittadino romano ed entra nell’organizzazione statale dell’Impero di Augusto; riconoscente, attua un grandioso sforzo tecnico ed economico, realizzando l’Arco a Susa e rendendo carrozzabile la strada transalpina per il Monginevro, ben conoscendo l’importanza per i Romani dei loro possedimenti in Provenza ed in Spagna.

Il Fregio e l’Iscrizione dell’Arco di Susa